Me lo sono chiesta spesso ricercando blog che leggevo religiosamente ogni giorno nel 2007 o anche in epoche più recenti.
Per 4, 5, a volte anche 10 anni alcuni avatar erano diventati in qualche modo presenze costanti nella mia vita quotidiana. Per almeno una decina di minuti al giorno, talvolta dopo cena o nelle pause sigaretta pomeridiane mirate a spezzare le eterne giornate lavorative invernali, interrompevo la mia quotidianità per affacciarmi su qualche esistenza altrui. Alcuni blog erano scritti meglio di altri, di certo nessuno di quei blogger aveva il talento letterario di Flaubert, ma dietro a quelle parole si celavano frammenti di vita vera, e giorno dopo giorno, post dopo post, la mía mente immaginava quelle persone, i luoghi in cui si muovevano, i personaggi che popolavano le loro vite, il senso di claustrofobia che le avvolgevano quando si sedevano al PC e digitavano quelle parole che poi io avrei letto espirando fumo e condensa.
I blog erano finestre su una vita altrui abbastanza simile alla nostra da creare un senso di empatía e fratellanza, e abbastanza differente da distrarci dalla nostra personales esistenza.
Cosí come si aprivano, però, queste finestre si richiudevano senza preavviso, senza un saluto o un congedo esplicito, come se di colpo quella vita si fosse interrotta o fosse continuata in altre vesti.
Quei bloggher che sparivano lo facevano perchè un evento incredibile aveva reso le loro vite più degne di essere vissute e meno di essere raccontate?
O forse le loro esistenze avevano ceduto alla banalità e non c’era più modo di renderle appetibili a un lettore?
Esiste un’età forse a partire dalla quale si perde l’illusione che la propria vita sia un poema epico degno di essere narrato e ci si arrende al fatto che sia un’esistenza grigia fra un milione?
Mi sono posta queste domande per molto tempo e improvvisamente mi sono accorta si essere io stessa una bloggher sparita senza motivi apparenti da oltre un anno. Perché?
Non credo di avere risposte soddisfacenti, ma in queste giornate oziose a casa dei miei, dove torno sempre a sentirmi un po’ la me stessa adolescente, ho deciso di lasciare traccia di questo tempo trascorso lontano dal blog:
La mamma di P. é mancata qualche tempo dopo il mio ultimo post. Mi voleva molto bene e mi apprezzava, é una delle poche persone che mi ha fatto sempre sentire a mio agio mi ricordo spesso di lei. Come madre ha commesso errori importanti che ho faticato ad accettare, vedendo gli effetti avuti su P. La ricordo come una figura tragica, colpevole per non averla potuta aiutare di più, e al contempo consapevole del fatto che é difficile strappare qualcuno a una simile spirale autodistruttiva.
Ho mantenuto lo stesso impiego in tutto questo tempo, ed é forse il lavoro in cui sono stata meglio in assoluto. Lo faccio bene, mi piace farlo e quando chiudo il turno in linea di massima riesco a staccare e godermi il tempo libero, nei limiti consentiti dalla mia personalità tipo A.
Ho creato amicizie al lavoro, cosa inaspettata ma gradita. A volte l’essere coinvolta in uscite sociali mi causa il panico, ma in linea di massima mi allieta avere una cerchia di persone con cui uscire di tanto in tanto e fare le ore piccole attorno a un tavolo senza finire a parlare di biberon o svezzamenti.
P. ed io abbiamo comprato casa. É grande, bellissima, in gran parte ancora priva di mobili ed ha una terrazza enorme in cui sogno di passare le ore a leggere e sorseggiare caffe.
Vado al lavoro in bicicletta ed ho soddisfatto il desiderio di rimanere nella zona sud della città, a tre minuti in bici dal vecchio quartiere. La notte si sentono gli schiamazzi delle 10 famiglie di zingari che vivono delle case di fronte al palazzo fino all’una del mattino, ma i vetri delle finestre sono spessi a sufficienza per soffocarli, e il caos in fondo mi piace. Sto in bilico tra la ricerca di quiete e di routine e la voglia di sbavature, quel dettaglio eccentrico e stonato che rende la vita più interessante.
Mio papà ha avuto un infarto qualche mese fa. Casualmente ero dai miei in ferie ed ho potuto essere presente nei giorni dell’intervento, ho potuto dare appoggio a mía madre e camminare per sei ore attorno all’ospedale con lei e mia sorella il giorno dell’operazione.
Sono state due settimane di altalene emotive alla fine delle quali é andato tutto bene e mi sono sentita fortunata: fortunata perché l’operazione é stata un successo, perché ero presente, perché ho una famiglia che amo e mi ama.
Queste sono le cose che mi saltano alla mente e che riassumono un anno e mezzo di vita vissuta e non raccontata
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