Tedio e sonnolenza

Questa settimana é trascorsa abbastanza rapidamente, seppur costellata da richieste bislacche da persone che difficilmente sanno trovarsi la lingua in bocca. Evito sempre di dare troppi dettagli circa il mio lavoro, ma é un po’ come se a un cardiochirurgo venisse chiesto di operare al cervello un paziente perché intanto, alla fin fine, cardiochirurgo e neurochirurgo son la stessa roba, dai. Ecco, in aggiunta a questo, supponiamo che il chirurgo venga invitato gentilmente a portarsi il bisturi da casa.

Poi, per chiudere in bellezza, dopo una settimana a soffrire leggendo manuali di neurochirurgia, supponiamo che al cardiochirurgo venga detto “aspé, me so sbajato, abbiamo dimenticato di dire al paziente che l’avresti operato tu quindi si é già fatto operare settimana scorsa”.

Cosí é andata la mia settimana.

Per il resto, non ho molto da dire. Dopo 15 giorni di ferie P. parte domani per lavoro. Starà via una sola settimana e ammetto che l’idea di una settimana da sola in casa mi entusiasma non poco.

Sarà l’abitudine, sarà che sono una persona asociale, ma vedere in TV quello che voglio e trovare la casa cosí come l’ho lasciata non ha prezzo.

Nel corso del week end prevedo di fare lungue camminate, cucinare, riordinare casa e uscire con Ali, se sopravvivo alle ultime due ore che mi aspettano qui inchiodata alla scrivania senza un cazzo da fare.

Besos, Deli

Melma

Questa settimana che finisce oggi posso solo definirla come una settimana di melma, in cui ogni passo é stato più difficile del solito proprio perché ero impantanata fino al collo.

Tuttavia, non é successo nulla di particolare che giustifichi la mia tristezza/insofferenza/ennui.

Martedì mi sentivo già molto fiacca e demotivata, ma incolpavo la notte insonne del lunedì dovuta ai dolori mestruali. Purtroppo, però, il malessere e l’insofferenza sono andati in crescendo e il venerdì ero ipersensibile, avevo le palle girate, mi girava la testa e avevo la nausea.

Di buono c’é che nonostante tutto ho invitato Claire a casa giovedì sera, nonostante volessi seppellirmi sotto il piumone a morire in solitudine, e non ho neanche dovuto passare la sera precedente a riordinare perché la casa, ormai, la mantengo presentabile anche quando ho lo stato d’animo di una adolescente prepuberale e i disturbi e gli acciacchi di una ottantaseienne.

Insomma, ho fatto un po’ di vita sociale e ho cucinato piatti pseudo decenti (ad eccezione dell’hot dog del mercoledì sera) nonostante la decadenza fisica e mentale.

Tuttavia, non sono riuscita a placare l’incessante sequenza di pensieri negativi che girava senza sosta nella mia testa: ansie immotivate, ricordi umilianti, prefigurazione di eventi futuri drammatici, cattiverie, invidie, disfattismo, risentimento e via dicendo.

Ormai conosco il meccanismo, so che a volte la mia testa fa un taglia e cuci di situazioni e ricordi selezionati mediante uno scupoloso processo di cherry-picking con il proposito di demolire la mia autostima (ammesso e non concesso che essa esista). Quello che non so, però, é perché lo faccio. E come potrei smettere di farlo.


Niente, questo post l’ho lasciato a metà ieri, giornata in cui parte del malumore era dovuto al lunedì che incombeva. Ora il lunedì é il presente e l’unica cosa che penso é che non sarebbe affatto male se le tipe nuove dell’ufficio se ne andassero e lasciassero me e la collega libere di mangiare in pace e di togliere la mascherina per mezzora. Penso anche che la gatta randagia che credevo morta é riapparsa fuori dall’ufficio e ora han messo una gabbia per catturarla, ma io faccio il tifo per la gatta. Insomma, un lunedì come tanti.

Besos, Deli

Eu não falo português

Ho scritto poco ultimamente, e questo lo si deve al fatto che sto piuttosto bene e sono stata molto occupata.

La visita del capo di cui parlavo nell’ultimo post, alla fine, é avvenuta e, come previsto, non é stata molto utile per comprendere che ne sarà di noi a fine contratto. Tuttavia, una cosa sí é stata chiarita: basta smartworking, si torna in ufficio 5 giorni su 7.

Sarò scema, ma la cosa non mi dispiace del tutto perché da casa risultava davvero difficile concentrarmi e il continuo cambiamento di orario (due giorni con sveglia alle otto e due giorni con sveglia alle nove e mezza) mi scombussolava il sonno.

Comunque richiedetemelo tra un mese, è possibilissimo che cambi opinione.

Detto ciò, sono reduce da un week end di solitudine in cui ho preparato il menù di tutta la settimana (col nuovo orario pranzo sempre fuori e devo organizzarmi se non voglio passare la vita tra il supermercato e i fornelli), ho pulito e riordinato la casa, ho fatto 20 km di camminata, ho acquistato delle nuove scarpe da running e ho lavato l’auto, cosa necessaria dopo la tempesta di sabbia della scorsa settimana.

Ogni tanto, nei momenti morti, mi é venuta la fissa di vedere case e appartamenti in vendita nella mia zona. Il mutuo mi ha sempre spaventata, ma mi guardo intorno sperando di trovare un appartamento con almeno 2-3 camere da letto e una terrazza, vicino al mio amato quartiere, che non cada a pezzi e con un prezzo ragionevole. Sognare non costa niente, del resto!

E quando non faccio il giro dei vari siti delle agenzie inmobiliari uso una app per imparare o portuguêis, rigorosamente do Brasil.

Non che l’apprendimento del portoghese mi serva a qualcosa di particolare, ma mi é sempre piaciuto per come suona. Per rafforzare le mie conoscenze, poi, sto vedendo Big Bang Theory in portoghese su Prime perché, beh, é l’unica serie che ho trovato in portoghese.

Hanno persino tradutto la sigla! Se vi é capitato di vedere Big Bang in italiano o inglese, suggerisco vivamente di cercare su youtube “intro big bang portoghese” per farvi due risate.

E se volete distruggere anche la vostra infanzia, già che ci siete, cercate la sigla di holly e benji in spagnolo e ditemi se vi ricorda qualcosa…

Besos, Deli

Visite inaspettate

Quest’ultima settimana non é andata per niente male. O meglio, tutto attorno a me va come al solito, ma il mio umore é stato generalmente positivo e ottimista.

La novità del momento é che – a quanto pare – il capo (sparito ormai da mesi) farà una comparsata in ufficio la prossima settimana. Le ipotesi vanno dal a) ci rivelerà il nostro futuro tipo oracolo di Delfi b) ci ingnorerà et disprezzerà c) dirà qualche supercazzola tanto per.

Un po’ nervosa la sono all’idea, più che altro perché il capo é un individuo diversamente simpatico e io francamente ho poca voglia di farmi quadrettare le palle in questo periodo. Diciamo che sono giusto un filino irascibile, del tipo che se una persona mi manda due WhatsApp consecutivi la etichetto già come rompipalle e – per farla breve – mi irrita qualsiasi essere vivente ad eccezione di quelli dotati di gommini, vibrisse e canini vampireschi.

Tuttavia di solito le visite del capo fan sí che venga in ufficio la Drama Queen dell’Ufficio del piano di sopra, idola assoluta che generalmente passa dall’euforia al pianto in 3 secondi e che ci diletta sempre con momenti degni della peggior telenovela colombiana.

Insomma, vedremo gli sviluppi di questo inaspettato evento, sperando che si tratti comunque di una visita sporadica e che il Gambero (alias il Capo) non torni ad essere una presenza fissa in ufficio.

Per il resto, qui vicino all’ufficio si era creata una piccola colonia felina e, in particolare, tutte le mattine mi accoglieva una gattina tigrata dal pelo lungo per chiedermi da mangiare. Purtroppo da un paio di giorni non c’é traccia di nessuno dei gattini. So che non erano desiderati qui, infatti dovevo sempre dar loro da mangiare di nascosto per evitare cazziatoni, quindi temo che possano aver fatto loro del male e sono molto triste, più di quanto possa ammettere davanti ai colleghi senza sembrare cojona.

Infine, questa settimana non ho fatto tutto quello che mi ero proposta ma ho fatto molte cose e sto desiderando l’arrivo del week end come non mai, anche se come minimo non arriverò a casa prima delle otto di sera.

Besos, Deli

Disperato tentativo di risalire la china

È ormai da metà gennaio circa che il mio umore è pessimo; ci sono giorni in cui sono triste, altri in cui sono arrabbiata, altri ancora in cui mi sento apatica. Il grigio, si sa, ha diverse sfumature, come afferma quella scellerata che ha scritto Fifty Shades of Grey, ma pur sempre di grigio si tratta.

E ciò che accomuna questa lunga trafila di giornate grigie è che al mattino, quando suona la sveglia, il mio unico desiderio è quello di sparire sotto il piumone in compagnia del gatto; che al lavoro non ho voglia di fare nulla, sono spenta e demotivata e sono disposta a fare qualsiasi cosa pur di sforbiciare mezzora o un’ora dall’orario lavorativo (vedasi questo post, che sto redigendo dopo aver trascorso due ore ad ascoltare video su YouTube e a mangiare latte e biscotti davanti al PC); che i pensieri negativi, un’infinita trafila di ricordi tristi, umilianti e mortificanti, tornano a riprodursi senza sosta nella mia testa e mi inducono a giungere alla conclusione di essere una persona di merda, stronza, egoista e pure un po’ scema; che evito le telefonate, i contatti umani in generale, e più mi sento di merda più voglio murarmi in casa e starmene da sola con le mie serie tv e il mio gatto (desiderio autolesionista che potrebbe anche avverarsi, data la situazione del Covid).

Insomma, non sono in formissima in questo periodo. Eppure sto facendo degli sforzi, sto provando ad ascoltarmi, a capire che cosa non va e ad essermi di aiuto, nonostante la vocina nella mia testa continui a insultarmi senza sosta (è come avere installato nel cervello l’equivalente del gemello cattivo delle telenovelas colombiane). E qualche piccolo, minuscolo risultato lo sto anche ottenendo. Ripensando ai miei periodi grigi del passato, anche solo riuscire a mantenere la casa in ordine, a mangiare – quasi – sempre cose sane, a uscire di tanto in tanto per lunghe camminate, a lavarmi il viso prima di andare a dormire e ad applicare le varie cremine antirughe sono grandi risultati.

Anche se sono gesti semplici, anche se veniamo tartassati da gente che su Instragram pubblica solo foto di piatti gourmet e dietetici, che fa sessioni di esercizio di 5 ore ciascuna e che si spalma creme bio-vegan-cruelty free ad ogni ora del giorno e della notte, io conosco me stessa, e so che fino anche solo ad un anno fa, dopo due settimane come queste, sarei stata perfettamente capace di avere il tavolo del salotto coperto di sacchetti di plastica e briciole di patatine fritte, la fodera del cuscino macchiata di fondotinta perché “che sbatti togliersi il trucco prima di andare a dormire” e il pavimento coperto di palle di pelo di gatto.

Ora, invece, pur continuando a sentirmi una merda, pur sentendomi triste, depressa e priva di stimoli, mi obbligo a trattarmi bene, a fare un piccolo sforzo la sera prima affinché il giorno dopo possa svegliarmi con indosso il pigiama, e non i vestiti del giorno prima (in giornate particolarmente brutte, mi succedeva anche questo), con il viso pulito e non con le ciglia incollate per colpa del mascara, con la mia tazza preferita per il caffè già pronta all’uso vicino al lavandino e senza dei dolori atroci allo stomaco per aver sfogato le mie crisi esistenziali la sera precedente su un Burger King o una pizza messicana con jalapeños.

E saranno anche dei progressi del cazzo per la gente, apparentemente perfetta (o che io immagino come tale), che mi circonda, ma sono progressi veri, tangibili, quantificabili che io vedo nella mia vita quotidiana.

Quindi, per una volta, voglio provare a focalizzarmi su questo e a rispedire il gemello cattivo colombiano a fare in culo.

E ora cerchiamo di lavorare un po’.

Besos, Deli

Livelli di scazzo preoccupanti

Nonostante i miei quotidiani sforzi per cercare di mantenere un minimo di sanità mentale e di equilibrio, l’ambiente lavorativo nel quale mi trovo sta riuscendo – sempre più spesso- a farmi incazzare e a far sì che nella mia testa risuoni, in loop, il video musicale con Barbero che parla di Monsieur Guillotin definendolo come un benefattore.

I fattori scatenanti di questo costante quadrettamento di balle sono i seguenti:

  • Spesso e volentieri la collega ed io non abbiamo alcun lavoro da fare e trascorriamo le ore mestamente osservando lo schermo del PC con sguardo vitreo.
  • Quando, finalmente, riceviamo un lavoro, spesso va consegnato entro 40 secondi, per cui dopo ore trascorse limandosi calli e duroni dei piedi tocca fare le cose velocemente e di merda e tornare al consueto tedio.
  • Da alcuni mesi, persone random mai viste e mai sentite prima condividono con noi l’ufficio e spostano mobili, si siedono alle scrivanie altrui, ecc., per cui ogni giorno che tocca andare in ufficio si teme qualche sorpresa: hanno messo un cactus sulla mia sedia e mi ci devo sedere sopra? Un nuovo collega ha installato una sputacchiera accanto al mio tavolo? Si accettano scommesse!
  • Il capo è una creatura evanescente ed ultraterrena che non vediamo da 1994; diciamo la verità, questa cosa equivale, in parte, all’aver vinto la lotteria, dato che costui è stato soprannominato “Il Gambero” per l’abilità quasi paranormale che possiede di entrare in una stanza di schiena ed uscirne sempre di schiena, senza salutare nessuno. Tuttavia, la sua assenza ci ha lasciate senza una chiara occupazione ed ora siamo alla mercé di gente sconosciuta.
  • È possibile che oltre a Mr. Sputacchiera e a Mr. Mascherina Basculante ora ci tocchi anche dividere gli spazi con un Membro dell’Inquisizione Spagnola.

Ecco. Nonostante il costante training autogeno al quale io e le colleghe ci sottoponiamo costantemente (“Pensa a chi sta in cassa integrazione! Pensa al fatto che abbiamo un buono stipendio! Pensa alle ferie!”), di tanto in tanto rimpiango persino i tempi in cui stavo al call center, e anche se ricevevo palate di merda a scadenze regolari dai clienti, stavo comunque in una impresa conscia del fatto di trovarsi nel XXI secolo e non in un villaggio feudale, in cui il capo faceva i propri interessi e non i tuoi, come è logico, ma almeno esisteva l’ufficio di Risorse Umane, esisteva la consapevolezza del fatto che sebbene per te il dipendente sia un numero, devi comunque sforzarti di trattarlo come una persona, fornirgli spiegazioni, dargli dei feedback.

Tuttavia, sfoghi a parte (e credetemi, mi sono sfogata parecchio tra ieri e oggi), al momento sto percependo un buono stipendio, e non so con certezza che mansioni mi verranno date o se verrò licenziata o non mi rinnoveranno il contratto. Non lo so e non posso saperlo, ma so che mi spettano quasi due mese di ferie prima della scadenza del contratto e che non torno a casa mia da un anno, quindi di rinunciare a questo benefit e di rischiare di trovarmi con un giorno e mezzo di ferie qualora sto cazzo di virus dovesse lasciarci in pace prima dell’estate non se ne parla affatto.

Certo, so anche che continueranno a trattarmi come una merda, che non terranno la mia opinione in considerazione e che mai e poi mai mi verrà concessa l’opportunità di esprimerne una (e forse è un bene, perché lì dentro il fatto stesso di avere un’opinione è sintomo di ribellione), ma mi comunicano dal dietro alle quinte che esiste una sottile strategia per evitare di farsi venire un’ulcera per questo: BATTERSENE IL BELINO.

Ecco, questa è la mia exit strategy: battermene il belino come se non ci fosse un domani.

Sembra facile. Ovviamente non lo è affatto. È molto più semplice a dirsi che a farsi, ma dopo aver esaminato il problema da sola e con altre 4 persone, concordiamo tutte sul fatto che sia la decisione più saggia, quindi ¡adelante!

Besos, Deli

La voglia di scrivere scarseggia

Forse anche per evitare che questo blog diventi un muro del pianto. Ma del resto, questo è il mio sfogatoio, quindi ecco le mie sfolgoranti novità.

Al lavoro le cose vanno leggermente meglio. Dopo un rientro deprimente in cui io e la collega non avevamo assolutamente nulla da fare, ora mi è stato assegnato un piccolo lavoretto che mi ha mantenuta relativamente occupata oggi e si spera lo faccia anche domani e dopodomani.

Da parecchi giorni, ormai, mastico mestizia e preoccupazione perché P. sta avendo problemi piuttosto seri al lavoro. Prima di Natale tutti i suoi turni sono stati cambiati in peggio, distribuendo i suoi giorni liberi a spizzichi e bocconi nel corso del mese. Questa cosa ci ha gettati nello sconforto considerando che lavora a 300 kilometri da casa e che il fatto di avere due settimane libere al mese gli permetteva di passare almeno la metà del mese qui insieme a me.

Poi dallo sconforto siamo passati alla pseudo-rassegnazione (io) e all’incazzatura (lui), per cui il caro P. si è sfogato proferendo epiteti non troppo carini rivolti al suo capo sulla chat dei colleghi. Purtroppo, però, un collega (anonimo) ha spifferato tutto al capo, e così ora siamo in attesa di una riunione di P. con il capo per vedere le possibili conseguenze di tale sconsiderato gesto.

P. è partito giovedì per rientrare al lavoro dopo la consueta settimana libera e da allora non dorme più di 3-4 ore a notte per l’ansia anticipatoria. Oggi gli è stato detto che la riunione si terrà domani e io sono quasi sollevata perché l’attesa è francamente snervante e gradirei sapere di che morte devo morire.

Ad aggravate il tutto, P. ha ben pensato di sfogarsi/cercare consiglio raccontando tutto a mio padre, il quale è entrato in panico e ora mi scrive ogni giorno per chiedere se si è già svolta la riunione, messaggio che io prontamente inoltro a P. alimentando questa disfunzionale spirale di ansia.

Per completare il tutto, poi, mia madre ha preso P. in odio per questo suo gesto sconsiderato, quindi quando chiamo i miei a casa mi allieta con la sua consueta espressione di disappunto e disapprovazione, la stessa espressione che è stata il mio tormento sin dalle elementari quando prendevo un brutto voto, o quando da adolescente non ero la regina del ballo bensì un paria sociale escluso dal gruppetto dei ragazzi più cool.

Insomma, all’ansia per la situazione lavorativa instabile di P. e per i nuovi turni, che sono entrati ufficialmente in vigore e ci impediranno di vederci spesso, ci si aggiunge anche l’eterno conflitto con i miei e tutto il bagaglio di traumi e rancori infantili e adolescenziali che una si aspetterebbe di avere archiviato alla veneranda età di 31 anni ed essendosi trasferita a 3500 km da casa, ma tant’è rimangono lì.

E allora rimugino, mastico i pensieri e cerco di mandarli giù, mi obbligo ad affrontare un problema alla volta e quando il dolore al collo indotto dallo stress non mi da tregua mi butto sul divano col sacchettino termico al profumo di lavanda contro la schiena, una tisana fumante in mano ed un film degli anni ’60 sullo schermo della televisione.

Sono in perenne lotta contro i pensieri funesti e qualche volta, miracolosamente, riesco quasi a spuntarla, ma si fa davvero fatica.

Pur sentendomi orgogliosa del fatto di essere riuscita, più o meno rapidamente, a recuperare giornate che sembravano destinate a perire sotto il peso della negatività obbligandomi a uscire, fare lunghe camminate, invitare una amica a casa o andare a bere un caffè, penso spesso all’eventualità di ricorrere – come già fatto anni fa – all’aiuto di uno psicologo, un professionista che renda meno impervia questa mia scalata verso la serenità e la sanità mentale, ma mi trastullo ancora con l’idea di fare da sola (sbagliando, molto probabilmente).

Besos, Deli

2021

Riapprodo qui ad anno nuovo già inoltrato senza saper bene che raccontare.

In queste ferie ho staccato totalmente dal lavoro, ho cucinato lauti manicaretti, ho bevuto innumerevoli caffé ed ho camminato un botto lungo la riva del fiume ascoltando podcast o, in alternativa, in compagnia di P.

La situazione lavorativa di P. si é deteriorata ulteriormente e ora abbiamo persino paura che lo licenzino. Ergo bisogna sperare che ciò non accada, anche se questo significa vedersi col contagocce e macinando kilometri e kilometri ogni settimana.

Questi pensieri sono stati prontamente scacciati a pedate nel corso delle ferie a colpi di tazze di cioccolata calda, copertine pelose e film pigri sul divano, ma oggi son tornati con prepotenza a reclamare protagonismo, dato che riprende il solito tran tran.

Fuori piove e il clima é grigio ed il mio umore non é scoppiettante, ma me ne sbatto il cazzo.

La situazione é questa, ormai il mondo va al contrario, non torno a casa da un anno, dei microcefali hanno invaso il Congresso, stiamo vivendo una pandemia.

O imparo a fregarmene un po’, almeno delle cose che non sono in mio potere, o affondo, e tra le due scelgo la prima, sono stanca di annaspare.

Besos, Deli

Io boh

Non era sufficiente che tutti i turni di P. fossero stati cambiati a partire dall’anno nuovo, per cui a partire dall’1 di gennaio per vederci dovremo fare i salti mortali e trascorrerò più di un fine settimana in auto per oltre 300 km.

No.

Adesso si scopre anche che una persona che lavora con lui è stata a stretto, strettissimo contatto, con un positivo al Covid. E così si aspetta che a questa persona venga fatto il tampone, ma dato che le cose devono sempre raggiungere un livello ulteriore di complicazione, invece di farglielo ieri è stato rimandato a venerdì. E P., che dovrebbe tornare a casa proprio venerdì mattina, ora non sa che fare.

Perché se il tizio che lavora con lui dovesse essere positivo, allora dovrebbero fare il tampone pure a lui, e ci manca solo che sia positivo, che lo attacchi a me e che, a catena, finiscano in quarantena anche le mie colleghe e, già che ci siamo, mezza Spagna. Però. Però, è l’ultima settimana piena da passare insieme, l’ultima prima del cambio di orario del cazzo.

Ancora non sappiamo bene che fare, ma la cosa ancora più esilarante è che, qualora decidesse di rimanere lì in attesa del risultato del tampone del collega, qualora questi desse positivo, a prescindere dal risultato del tampone di P., dovrebbe stare in isolamento almeno 10 giorno.

Ecco, e indovinate quanto manca al Natale? Esatto! 9 giorni.

Meno male che a distrarmi ci pensa il lavoro… (pausa carica di aspettativa)… ah, già, il lavoro.

Ieri io e la collega abbiamo finito l’ultimo lavoro che dovevamo concludere. Un lavoro che, peraltro, abbiamo trascinato all’inverosimile giusto per non rimanere a mani vuote.

E meno male che per il momento continuiamo per metà della settimana a lavorare in smart-working, perché almeno a casa puoi spadellare, fare una lavatrice, pulire i pavimenti, franare sul divano e dichiarare a pieni polmoni “sticazzi!”

Ma domani e dopodomani attendono al varco 16 lunghe ore di ufficio. Un ufficio deserto, nel mezzo del nulla, al quale mai nessuno si reca ad eccezione di qualche gatto randagio che viene a elemosinare cibo. 16 ore da passare osservando il PC e lo schermo del cellulare, chiedendoti che cazzo ci stai a fare lì, sentendoti una merda perché a fine mese ricevi uno stipendio che sai che non ti sei meritata, ma del quale non puoi di certo fare a meno, soprattutto considerando che le offerte di lavoro su infojobs sono del calibro: LAVORO PART-TIME STIPENDIO 2000 EURO + COMMISSIONI.

Ceeeeerto, ci crediamo tutti. Non si tratta assolutamente di una truffa piramidale, come ti può venire in mente una cosa del genere?

Meno male che il capo non si palesa in ufficio dal 1992. Da una parte la mancanza di lavoro, di progetti e di motivazione si deve alla sua assenza, ma dall’altra è una persona orribile e deprecabile e, francamente, almeno in sua assenza posso leggermi un libro in formato PDF o farmi i cazzi miei senza dover pure “fingere” di lavorare.

Insomma, questo 2020 non ne vuole proprio sapere di mollare la presa ed essere un po’ meno infame. Ha deciso di farsi assegnare il nome di annus horribilis e ci sta riuscendo alla grandissima.

Tuttavia, qualcosa di buono, andando proprio a grattare la superficie, c’è.

Perché ieri, dopo una giornata noiosa e improduttiva, una amica mi ha scritto per venire a trovarmi a casa. Io mi sentivo triste, nervosa, leggermente scazzata, e la casa era un po’ sottosopra, ma le ho detto di sì, ho riordinato velocemente ed abbiamo parlato un sacco, ci siamo divertite, abbiamo riso, abbiamo pianto e ci siamo capite. E cazzo, mal comune mezzo gaudio è una enorme stronzata, non ci si deve rallegrare delle disgrazie altrui. Ma trovare qualcuno che ti capisce, che è passato per un problema che ti trovi ad affrontare tu, beh, fa sentire infinitamente meno soli.

Besos, Deli

Il 2020 continua a distribuire padellate sui denti

È già da mesi che circolano infiniti meme che tentano invano di ironizzare su questo fantastico 2020 paragonandolo a personaggi odiatissimi delle serie tv o altri cataclismi e rotture di cazzo, e se i primi due o tre meme erano fin divertenti, al quarantesimo iniziano francamente a quadrettare i coglioni.

Eppure, dopo quest’ultima settimana, non riesco a fare a meno di pensare che questo fottuto 2020 è veramente una merda avvolta in cellophane.

Non bastava una pandemia globale, l’impossibilità di vedere la famiglia per un anno, l’aver trascorso almeno metà dell’anno in bilico su un filo, ritrovando l’equilibrio a giorni alterni, dopo aver osservato il precipizio da molto vicino. No.

Adesso, a 10 giorni dal Natale – un Natale del cazzo e lontana da casa (sia quella della mia famiglia che la mia attuale) – tutti i turni di P. sono stati totalmente modificati dal giorno alla notte, e se prima faceva una settimana di lavoro e una a casa, una di lavoro e una a casa, adesso avrà un bell’orario del cazzo con tre giorni di lavoro, due a casa, quattro di lavoro, quattro a casa, ecc.

Considerando che il suo luogo di lavoro si trova a tre ore d’auto dalla nostra casa, potete ben capire che ci hanno praticamente sfanculato l’esistenza.

Le belle notizie del venerdì pomeriggio.

E così il sabato e la domenica li ho trascorsi in un vortice di autodistruzione, incastonata sul divano a vedere un episodio dopo l’altro di YOU (così, giusto per mantenere alto l’umore), mangiando le quattro minchiate che avevo in frigo perché di uscire di casa non mi andava e di fare la spesa ancora meno. E P. ed io abbiamo parlato, discusso, pianto, rigorosamente per telefono. Aspettiamo che ti trasferiscano in un centro di lavoro più vicino a casa? Ti licenzi? Ci lasciamo? Ti amo? Mi ami?

Una meravigliosa montagna russa emotiva, culminata con un sabato sera trascorso china sul cesso a vomitare tutto il pranzo, perché lo stress io li mangio boccone per boccone che poi intanto ci pensa lo stomaco a sputarlo fuori con la bile.

La questione è questa: P. è stato disoccupato per anni, è saltato da un impiego sottopagato a un altro per anni, con turni di 40 ore che sul contratto erano 20, ferie non pagate, stipendi di 500 euro per un full-time e altre meraviglie dell’attuale mercato del lavoro spagnolo incancrenito. Questo è il suo primo posto fisso e pagato decentemente, ed è comprensibile che lasciarlo lo spaventi.

Io, però, sono una stronza che cinque anni fa ha dato il salto ed è andata a vivere in un Paese straniero, e anche se ho avuto l’immensa fortuna di trovare lavoro prima di trasferirmi e mi trastullavo da anni con l’idea di andare a vivere all’estero, il coraggio per dare il salto e la decisione di venire proprio qui, in questa città (che, diciamolo, non è proprio l’ombelico del mondo) l’ho trovato anche perché qui c’era lui, il mio fidanzato.

Sono passati 5 anni, e l’idea di mollare di nuovo tutto e raggiungere lui mi risulta inaccettabile. Non solo per il mio lavoro, che sebbene sia privo di senso è comunque un lavoro della madonna che mai nella vita avrei pensato di trovare, ma soprattutto perché mi sono costruita a fatica una vita, delle abitudini, delle amicizie, e se la me del 2015 aveva voglia, in parte, di rimescolare le carte e partire da zero (e pure avendone voglia non è stato un cazzo facile), la me di adesso non se la sente proprio.

Ecco, tra sabato e domenica pensavo a tutte queste cose, e non mi abbandonava l’immagine di me stessa, trentunenne, single, davanti a un crocevia:

a) rimango qui mantenendo il mio lavoro e le mie amicizie anche se questo significa rimanere lontana dalla mia famiglia e in un luogo che, inevitabilmente, non potrà che ricordarmi lui?

b) torno a casa di mamma e papà a vivere in cameretta, a lavorare (se va bene) al centro commerciale di provincia e a passare il sabato con delle amiche che, con tutto il bene che voglio loro, hanno la propria vita che è proseguita in mia assenza per 5 anni?

La cosa migliore, poi, è stata fingermi calma con i miei genitori, perché P., privo di una figura genitoriale non psicotica, si è rivolto a mio padre per avere un consiglio, senza tenere conto del fatto che mio padre si sarebbe ansiato e, di riflesso, pur senza volerlo, avrebbe ansiato me.

Fortunatamente Ali mi ha “forzato” ad uscire di casa, bere un caffè al bar, sfogarmi circa il tema e al contempo parlare di stronzate, di maschere per capelli e di serie tv, giusto per uscire per qualche minuto dalla melma del mio cervello e far entrare un po’ di ossigeno.

La conclusione alla quale sono/siamo giunti è che P. cercherà lavoro qui come un matto e cercheremo di tenere duro in attesa di un suo trasferimento, il più a lungo possibile, mantenendo però aperta l’opzione di chiedere una aspettativa, se stare distanti per così tanto tempo diventasse realmente insopportabile.

L’altra conclusione alla quale sono giunta, invece, è che ‘sto cazzo di 2020 ha veramente rotto i coglioni, ma dubito moltissimo che il 2021 possa rivelarsi migliore.

Besos, Deli