Ho iniziato queste ferie con un solo proposito: rillassarmi.
Nel corso del mese di marzo sono stata parecchio svogliata, non avevo molta voglia di cucinare, pulire casa ed ho iniziato a trascurare alcuni hobby e buone abitudini iniziate nel corso delle ferie natalizie o a portarle avanti in modalità “risparmio di energia”, facendolo solo il minimo indispensabile.
La prima settimana di ferie, in effetti, non è stata dissimile dal resto del mese di marzo. Sono uscita a camminare di tanto in tanto, ma non tutti i giorni e non macinando 15 chilometri per volta come nei periodi d’oro, e le mie lezioni di portoghese si sono incagliate leggermente. Dopo due o tre giorni di dieta sana, ho ricominciato a mangiare grissini e formaggio a cena e ad andare a letto con sandwich di prosciutto, formaggio e maionese sullo stomaco.
Dopo una prima spesa al supermercato in cui ho acquistato di tutto di più, ho ricominciato ad evitare il Carrefour e qualsiasi altro negozio di alimentari e non, per cui convivo con una lampadina mezza fusa in cucina da oltre tre giorni che poco ci manca che mi venga una crisi epilettica ogni volta che decido di cucinare qualcosa (se per cucinare intendiamo assemblare panini e aprire pacchetti di patatine fritte).
Ci sta, sono in ferie e voglio rilassarmi, sbracarmi sul divano e vedere video pruriginosi in cui un qualche Royal Expert dice la sua sulla scandalosa intervista di Harry e Meghan.
Tuttavia, negli ultimi due giorni la cosa è degenerata non poco, e ieri sera è tornato a perseguitarmi un mio caro e vecchio conoscente: il dolore al lato sinistro del collo.
Insomma, sono tesa. Nervosa. Preoccupata.
Il motivo? Cerco di darmi una risposta da qualche giorno, ahimè senza troppi risultati. Le cause possono essere molteplici:
a) L’esaurimento dovuto all’eterno protrarsi della pandemia e l’impossibilità di tornare a casa.
b) Alcuni problemi personali ed avvenimenti recenti di cui preferisco non parlare ora, che coinvolgono anche P.
c) Il fatto di disporre di molto tempo libero e di non sapere bene come riempirlo dato che sono a casa da sola e le mie amiche sono altrove, ad eccezione di Ali.
d) Il lavoro
Già, il lavoro. Lo scorso anno, in questo stesso periodo, avevo le ferie, eppure mi sono ritrovata a lavorare quotidianamente, un po’ per via della “situazione straordinaria” dovuta alla pandemia, e un po’ perché “intanto c’è il lockdown, che cazzo c’avete da fare a parte rispondere alle mail?”.
Il timore che questa situazione si ripetesse quest’anno c’era, aleggiava nell’aria già prima delle ferie. Io, sprovveduta, ho pure avuto la pessima idea di controllare la mail aziendale due giorni dopo l’inizio delle ferie, scoprendo che ci erano stati richiesti lavori quotidianamente.
Si è deciso, a inizio settimana, insieme alla collega, di ignorare tutto indistintamente. E così abbiamo fatto, e io mi sono mangiata le mani per non controllare più la casella di posta. E quando dico che me le sono mangiate lo dico in modo piuttosto letterale, dato che ho le punte delle dita quasi in carne viva.
Insomma, il lavoro ha avuto parecchio a che vedere con il mio stato d’animo di questi giorni, inutile girarci intorno.
Questa mattina, perì, i livelli di paranoia raggiunti sono stati assolutamente inediti e preoccupanti.
Non sto a spiegare tutta la dinamica perché non ne vale la pena, ma un messaggio innocente di un collega ha aperto un vaso di Pandora non indifferente e ha portato la sottoscritta ad aprire la casella di posta nuovamente. Non solo le richieste si erano moltiplicate a dismisura: abbiamo ricevuto richieste letteralmente OGNI GIORNO e c’era anche una mail dal magico dipartimento di Human Resources.
Il contenuto della mail di per sé non era minaccioso. Tuttavia, dato che le caratteristiche principali del mio ambiente lavorativo sono l’ambiguità, l’insicurezza ed i contratti a termine, potete ben immaginare quale sia stata la mia reazione.
Il mulinello si è azionato nella mia testa e ha iniziato a formulare ipotesi, scartarle, prevedere licenziamenti in tronco e altre amenità.
Come faccio sempre nei momenti di crisi, ho deciso di ripiegarmi su me stessa a riccio e di passare il resto della mattinata rannicchiata in un angolo della vasca da bagno col rimmel che cola drammaticamente sul mio volto, anche se avrei dovuto truccarmi apposta per ottenere questo effetto, ed ho scritto alla mia amica, con la quale dovevo uscire a camminare per dirle che mi era sorto un problema e che se ne andasse a spasso da sola, sorry.
Nel frattempo il mulinello era diventato una centrifuga, una ruota della fortuna al contrario, e il mio malcapitato cervello continuava a formulare ipotesi assurde, portandomi addirittura a formulare la seguente idea: “Io ora chiamo il mio capo, col quale non parlo dal 1995, e gli chiedo che cazzo devo fare. Gli formulo una domanda diretta, semplice, chiarissima, di quelle che prevedono un sì o un no come risposta e gli chiedo: devo lavorare in ferie? ci si aspetta che lo faccia? me so’ persa qualcosa? Dimmi di che morte devo morire e io muoio, che questa ambiguità non fa per me”.
A quel punto mi sono spaventata da sola e, lottando contro i miei più bassi istinti, mi son detta “Esci da questa casa, parla con una persona che mantiene ancora qualche barlume di lucidità e cerca di calmarti”.
E così ho fatto. Con la nausea incipiente, il dolore martellante al collo e i pensieri in ammollo sono uscita a camminare ed ho esposto alla mia amica tutti i miei dubbi e i vari retroscena che non ho spiegato qui, per ovvi motivi di privacy.
Conclusione: sticazzi.
Ti hanno detto che devi controllare le mail in ferie? No. Quando hai scritto a Pincopallo per informarlo del fatto che dal giorno X la giorno Y non saresti stata disponibile, ti ha forse risposto per dirti che avrebbe dovuto inviarti dei lavori in quel periodo e chiedendoti cortesemente di farli? No. Ha ignorato le mie mail e ha continuato a scrivermi sbattendosene altamente il cazzo. Hai ricevuto solo tu la mail di HHRR o la han ricevuta tutti? A quel punto ho chiesto a un collega e l’aveva ricevuta pure lui, quindi le teorie complottiste del tipo “Ommioddio mi han scritto solo a me per cacciarmi a pedate e costringermi a vivere sotto un ponte” sono state espulse dalla centrifuga e mandate a stendere.
Infine, ci siam chieste se valesse la pena scrivere all’evanescente capo. In altre occasioni, infatti, la richiesta di delucidazioni circa questioni ambigue ha dimostrato di essere un passo falso. L’ambiguità, infatti, in passato gli ha permesso di concedere al suo team determinati privilegi che non avrebbe potuto concedere alla luce del sole, poiché in netto contrasto con le politiche aziendali.
Diciamo che concede privilegi per omissione.
Sto ancora soppesando, in realtà, se sia meglio avere indicazioni chiare (anche se questo significa rimetterci e perdere qualche privilegio) o vivere costantemente in una zona d’ombra. Vedendo la reazione avuta stamani, propendo per la prima.
Tuttavia, la decisione non spetta solo a me, ma anche alla collega, che pagherebbe le conseguenze delle mie azioni, e in questo momento sta passando per un inferno personale, per cui escludo di romperle il cazzo con questioni lavorative.
Ergo, sticazzi. Io aspetto, non faccio nulla, non rispondo a nessuno, rimango nella mia zona d’ombra ancora per un po’ e chi vivrà vedrà.
Però, ragazzi, che fatica.
In piene ferie mi ritrovo alle sei del pomeriggio incagliata sul divano col sacchettino termico a premere sul collo e con una tisana DuermeBien tra le mani e mi dico che c’è decisamente qualcosa che non va, in me e nell’ambiente lavorativo che mi circonda.
E guess what? Non posso cambiare l’ambiente lavorativo, quindi posso solo cambiare la mia reazione allo stesso.
Fosse facile.
Besos, Deli