Quarantena goes on

Siamo ormai al 24esimo giorno di quarantena in Spagna.

Dopo 3 giorni tremendi a causa del mestruo e dell’ansia derivante dalla situazione in generale, da qualche giorno sto di nuovo “bene”, per quanto si possa stare bene in questo frangente.

La tempesta di ormoni, quantomeno, mi ha lasciato tregua, e dopo tre giorni di pianti insensati, malumori e ansia, nonché di isolamento non solo fisico ma anche virtuale (quando sono moralmente a pezzi, tendo a sparire dai radar, a interrompere le chiamate, a rispondere con messaggi monosillabici e a rinchiudermi in me stessa), sono finalmente tornata ad una condizione di pseudo-normalità.

Da venerdì scorso, inoltre, sono in ferie, anche se continuano a fioccare le mail con richieste improbabili in orari assurdi. La mia collega, con la quale condivido tutte le mansioni, mi ha convinta a stabilire dei limiti e a ignorare le mail, salvo quelle realmente urgenti, vista la tendenza di alcuni personaggi, da quando lavoriamo da casa, di inviare richieste nel corso del week-end, a mezzanotte del venerdì o, appunto, nel corso delle ferie.

Faccio un po’ fatica a ignorare le mail, dato il mio carattere remissivo. Tuttavia, sebbene lavorare da casa abbia vantaggi enormi (si risparmiano ore di sonno, per non parlare delle ore e della benzina sprecate per fare 4 viaggi al giorno rimanendo impantanata nel traffico), ho anche capito che imparare a stabilire limiti e paletti è molto importante. La notifica continua della mail e della chat a qualsiasi ora del giorno provoca non poco stress, ed in una situazione come questa, la salute mentale va tutelata in qualsiasi modo.

Quindi, a cosa mi sto dedicando in questa quarantena? Per il momento ho iniziato a cucinare molto più spesso, e a cucinare piatti un pelino più “elaborati” delle porcherie di cui mi alimento normalmente. Sto anche provando a iniziare a fare ginnastica in casa, anche per limitare i danni cagionati dalla mia fase di cucina gourmet, e quando dico che sto provando mi riferisco al fatto che l’altro ieri ho fatto 35 minuti di aerobica seguendo un video di youtube. Quasi svengo alla fine, e ieri avevo dolori ovunque manco mi avessero preso a mazzate, ma devo dire che alla fine mi sono sentita bene e carica. Forse sto per scoprire quella sensazione da molti descritta, e che ho sempre creduto fosse una leggenda, di benessere data dall’esercizio fisico. Possibile esista davvero?

Stasera dovrei ripetere l’esperienza. Volevo farlo nel pomeriggio ma ho mangiato la pizza fatta in casa e non me la sentivo di iniziare a sgambettare per il salotto con un mattone piazzato nello stomaco, l’esito avrebbe potuto essere piuttosto nefasto.

A parte quello, mi dedico a pulire la casa ossessivamente, a portare a spasso i cani e a vedere la tv. Mi sono proposta di vedere finalmente il finale di Mad Men, una serie che anni fa mi aveva assuefatta ma che avevo mollato improvvisamente non so nemmeno per che motivo. Tuttavia, al momento, sto vedendo Gossip Girl. Sì, lo so, è una serie di merda, un mix tra la trama di una telenovela colombiana, un teen drama alla Beverly Hills e un reality show su gente ricca e snob, tipo quello sulle Kardashian. Ne sono ben conscia, ma a inizio quarantena avevo bisogno di qualcosa di così stupido, privo di senso e pieno di colpi di scena assurdi da riuscire a staccare il cervello, e Gossip Girl è perfetto. Anzi, penso proprio che 4-5 neuroni si suicidino per ogni episodio.

E poi ci sono le videochiamate con mia sorella, i miei genitori, l’amico di oltremanica e la vicina di casa.

Infine c’è l’intramontabile lista di buoni propositi disattesi, che anche in quarantena non poteva non essere presente. Infatti vorrei leggere un libro o fare un corso online di francese, ma per il momento, indovinate?, non ho fatto né una cosa né l’altra.

Tuttavia la quarantena sarà, ahimè, ancora lunga, quindi non sia mai che non riesca a portare a termine qualcuno dei propositi nelle prossime settimane.

Besos, Deli

Odore di Salsedine

Dopo un paio di giornate davvero lamentabili, in cui la mia condizione si discostava di poco da quella larvale, oggi posso dire di stare meglio. Ieri sera mi son detta che era giunto il momento di darmi una scrollata, e così ho messo ordine in casa, nonostante la pigrizia, e mi sono preparata un’ottima cena (anche se in un orario parecchio improbabile, infatti stamattina avevo lo stomaco sfatto).

Tuttavia, non posso neanche dire di stare bene. Non riesco a concentrarmi come si deve, ma soprattutto sento un filo d’ansia che percorre le mie giornate, anche se a volte scorre sottopelle ed è quasi invisibile.

Io sono sempre stata molto pantofolaia e pigra, quindi stare rinchiusa tra le mie quattro pareti non è poi così insolito per me. Quando mi metto a riordinare, cucinare, o addirittura in questi momenti, in cui faccio scorrere le dita sulla tastiera per scrivere un post (cosa che non accadeva da secoli, gli ultimi post su iobloggo sono stati tutti scritti dal cellulare, per quanto fosse scomodo), mi sembra quasi che questa sia la normalità. A volte, anche se solo per qualche istante, dimentico la situazione in cui ci troviamo.

Poi, però, arrivano le secchiate di acqua fredda in faccia: qualche notizia su facebook, un messaggino di preoccupazione dei miei genitori, o semplicemente un’occhiata alla strada sotto casa, totalmente deserta, senza il suono insistente dei clacson, senza gli schiamazzi dei ragazzini, senza gente che corre a lavorare o macchine che sostano davanti ai garage. E allora sento un pugno nello stomaco, un dolore sordo, un mix di sensazioni ed immagini, di pensieri senza capo né coda.

“Quando potrò abbracciare i miei cari?”, “Quando potrò uscire senza maschere, guanti, senza quella paura strisciante che mi accompagna?” “Quando finirà tutto questo?” “Ma è tutto vero?” “Devo usare questo tempo per fare qualcosa di utile” “Devo ringraziare di avere un lavoro e uno stipendio, anche in questo frangente, anche se in giornate come oggi il cervello vola via come un palloncino, oltre quella finestra da cui mi affaccio per fumare una sigaretta, oltre il dolore, oltre l’incredulità”.

Per una come me, che per tutta la vita ha redatto liste e conti alla rovescia prima delle ferie, di una data importante, di una felicità futura che sarebbe arrivata al traguardo X, questa stasi in cui si staccano i giorni dal calendario senza vedere un punto finale è una situazione strana, surreale, una metafora di una vita intera passata aspettando, mentre la vita è ora, adesso, come mi sono ripetuta spesso senza però riuscire a convincermi sul serio.

In tutto questo, un’immagine non smette di essere presente nella mia testa, un ricordo dell’anno scorso. È un pomeriggio d’estate ed io sono in spiaggia, da sola con un libro, il cellulare, le cuffiette, lo zaino e l’ombrellone. Raccolgo le mie cose e mi avvio verso la lunga passeggiata di legno che conduce all’auto. Ormai sono le sette e mezza, e per le otto voglio vedere Ali al solito bar per un caffè. Quando arrivo alla stradina che conduce fuori dalla spiaggia, mi giro ancora un secondo e mi appoggio alla staccionata per dare un’ultima occhiata alla spiaggia. Il sole c’è ancora ma è meno aggressivo, e un vento leggero mi accarezza il viso, mentre la spiaggia, sconfinata, con due o tre bagnanti, mi circonda. Rimango lì in piedi per qualche minuto, respiro l’odore di salsedine, mi faccio cullare dal suono delle onde e chiudo gli occhi per un momento, godendo di un istante di pura felicità.

Besos, Deli

Quarantena in Spagna

Siamo ormai al diciottesimo giorni di quarantena qui in Spagna. In questi giorni avrei voluto scrivere molto più spesso, ma questa piattaforma la sento inospitale. È davvero una bella fregatura che iobloggo sia dovuto andare a puttane proprio adesso che siamo tutti murati vivi in casa, con tanto tempo a disposizione per scrivere e, almeno per quanto mi riguarda, con la necessità di condividere tanti stati d’animo.

Fino alla settimana scorsa la faccenda della quarantena l’ho sopportata piuttosto bene. Il lavoro mi mantiene occupata per varie ore al giorno, e dopo il lavoro mi ritaglio un po’ di tempo per cucinare o per fare un po’ di ginnastica in casa.

Nei primi giorni di quarantena mi sembrava tutto uno strano sogno, non mi rendevo conto davvero di quello che stava accadendo, e la mia maggiore preoccupazione era la mia famiglia a casa. Ora, sebbene continui a preoccuparmi molto per loro, la situazione si è quasi ribaltata, vista la brutta piega che la faccenda del virus ha preso anche qui in Spagna.

Ieri ed oggi sono state, probabilmente, le peggiori giornate. Domenica notte il gatto ha distrutto il mio cellulare ed io, che per qualche motivo mi stavo già rigirando nel letto da qualche ora come una irrequieta polpetta, sono entrata totalmente nel panico. L’idea di rimanere “isolata” in un momento come questo mi stava già togliendo il fiato, soprattutto sapendo che le consegne con Amazon impiegano il doppio ad arrivare ed aspettandomi che tutti i negozi fossero chiusi.

Fortunatamente, il negozietto sotto casa ha comunque aperto, e sono riuscita ad entrare in possesso di un telefono nuovo. Tuttavia, ho passato una notte insonne, e ieri ho fatto davvero tanta fatica a lavorare.

Ovviamente, poi, ieri, giusto perché stavo a pezzi sia fisicamente che mentalmente, io e la mia collega siamo state tartassate di lavoro. Tutti lavori urgenti, stranamente. Ormai è un vizio, qualsiasi stronzata, a partire dalla newsletter per arrivare a un messaggio del cazzo che nessuno leggerà mai, viene etichettato come “urgente”. Basta la parolina magica e ti fanno venire l’ansia, ti mettono fretta.

Insomma, ieri proprio giornata no. Alle sette e mezza di sera avevo la testa che scoppiava e una gran voglia di piangere, oltre a un sonno incredibile. Oltretutto mi ronzava per la testa la preoccupazione di non aver svolto al meglio il mio lavoro del giorno, tra la fretta e il malessere generale che mi affliggeva.

In tutto questo non aiuta che la mia collega sia sempre super scattante, efficientissima, soprattutto quando io mi sento un rottame e vorrei gettarmi a peso morto in un immondezzaio.

Ieri sera mi sono messa a letto prestissimo nella speranza di recuperare, ma ero talmente nervosa che devo aver passato la nottata a digrignare i denti, infatti oggi mi scoppia la testa, oltre a farmi malissimo la pancia.

E niente, mentre mi sfogavo qui mi è piovuto altro lavoro addosso. La mia collega, alla quale ho detto che mi sento poco bene, si è detta disposta a coprirmi per permettermi di riposare, e questo suo gesto carino, unito allo stress, al malessere e a -temo- una incipiente crisi pre-mestruale mi ha fatto scoppiare a piangere come una bamboccia. Di buono c’è che il pianto è sempre un po’ catartico, e buttando fuori le lacrime ho buttato fuori anche un po’ di mal di testa e di tensione.

Domani si spera di lasciarsi completamente alle spalle questo mal de vivre.

Besitos, Deli

Tanto per

Ho aperto questo blog un secolo fa, quando iobloggo e rimasto in down per vari mesi. Poi, quando è apparso nuovamente, l’ho abbandonato a sé stesso. Iobloggo è inaffidabile, è nuovamente in down e inizio a dubitare che venga ripristinato prima o poi, e ormai ci scrivevano in 4 gatti. True, Zafira86, Videl90 sono tra i pochi che scrivevano regolarmente negli ultimi tempi. Tuttavia, di tanto in tanto ricevevo un commento da Di, o da paroleavanvera, e spesso tornavo a leggere il blog, ormai abbandonato, di BlackTea. Ricordo spesso MrsRobinson, e Kiro, ormai spariti dalla piattaforma.

Insomma, sono una nostalgica, e mi piaceva rimanere lì, rileggermi i vecchi post e i vecchi commenti, leggere ogni giorno i nuovi post dei pochi superstiti.

Tuttavia, quel che è certo è che senza scrivere non so starci, ergo non mi resta che rispolverare questo angolino e gettare le mie parole nel nulla cosmico di WordPress, una piattaforma sicuramente di gran lunga più figa, ma in cui non so muovermi per niente.

Quindi facciamo finta che non vi manchino le tremila pagine precedenti del mio diario e raccontiamo le novità delle ultime settimane.

Qui in Spagna (sì, vivo in Spagna), la situazione per il coronavirus si è aggravata piuttosto rapidamente, e così da lunedì sto lavorando da casa. È un grande privilegio, perché mi aiuta a distrarmi e dimenticare per un po’ la situazione assurda in cui ci troviamo.

Fino a qualche settimana fa mi preoccupava che cancellassero i miei voli per le ferie di Pasqua, e di colpo mi trovo a temere per la salute dei miei cari, e mi rendo conto che potrebbe passare davvero tanto tempo prima di poter andare a vederli, o che vengano loro qui da me.

Siamo – sono – talmente abituata all’idea di poter salire in aereo come se fosse un autobus e arrivare a Milano in un baleno (sebbene ogni viaggio in aereo mi faccia sentire una donna d’affari in carriera, ma questo è un retaggio della mia mentalità provincialotta), che inizialmente l’idea di non poter tornare in Italia a mio piacimento, o addirittura di poter rimanere bloccata in Spagna, mi provocava claustrofobia.

Poi ho capito, faticosamente e dolorosamente, che i problemi sono ben altri. È difficile, a volte, mettere da parte l’ottimismo per fare posto alla realtà, per smettere di proteggerci.

Così come è difficile mettere a tacere la paura cieca, il terrore che mi ha assalita quando ho saputo che il padre della mia amica era mancato. E lei era sola, in quarantena, senza poter andare a vederlo o a salutarlo. Totalmente sola.

Faccio ancora fatica a rendermi conto di quello che sta accadendo, e forse anche per quello desideravo ancora di più di poter sfogare questa trafila di parole senza senso su un foglio bianco.

Attualmente sono a casa da sola. O meglio, con il gatto e i due cani. P. è partito ieri per andare al lavoro, ma l’hanno messo in mutua/quarantena perché ha il raffreddore. Dovrà rimanere una settimana chiuso in casa là, e poi il medico gli dirà se può rientrare al lavoro o meno. Poiché non ha la febbre non gli faranno il tampone, il che è una fregatura, perché se potessero scartare la presenza del virus a)staremmo tutti più tranquilli b)potrebbe rientrare al lavoro.

Oggi non sono troppo felice con me stessa. Ho stupidamente raccontato ai miei del raffreddore di P. e ora sono in apprensione per me. Avrei dovuto saperlo, ma, a quanto pare, sono una cogliona che non sa tenersi un cecio in bocca.

É stata un’idea mia anche che P. chiamasse il medico, quindi ora a causa mia è in quarantena a 300 km da casa senza poter andare al lavoro.

Insomma, se ieri era la festa del papà, oggi è la festa della colpevolezza.

Detto questo, cercherò di usare comunque la giornata per fare qualcosa di utile:

1- leggere un libro

2- fare un disegno

3- fare sport in casa

4- mangiare sano

5- vedere cosa riesco a ricavare da un misterioso file trovato in un pendrive che potrebbe contenere il mio vecchio blog, qualora iobloggo dovesse sparire definitivamente.

Besos, Deli

20 giorni dopo

Sono rientrata dalle ferie esattamente 20 giorni fa. 20 giorni in cui avrei voluto scrivere, ma alla fine non l’ho fatto per pigrizia e perché speravo, con commovente innocenza, che iobloggo fosse riesumato (cosa che è avvenuta solo in parte).

In questi giorni non si può dire che abbia fatto molto. A parte pulire la casa per poi vederla ricadere nel disordine nel giro di un’ora, ed incazzarmi con Pe., che lascia perennemente dietro di sé una scia di briciole, recipienti di plastica, cartoncini, opuscoli inutili con pubblicità dei supermercati e – ovviamente – calzini lerci.

Non che io sia ordinata o ossessionata dal pulito, anzi! Ma penso che se lui vivesse solo cambierebbe le lenzuola ogni 2-3 anni, per dire.

Chiusa la parentesi da desperate housewife, non resta molto da dire, salvo che ho disatteso quasi tutti i miei propositi per l’anno nuovo.

Continuo a fumare come una ciminiera.

Ad esclusion e della mia amica/dirimpettaia, non sono uscita con nessuno in queste settimane, e non ho neanche chiamato per telefono la mia famiglia o i miei amici lontani. Insomma, isolamento massimo.

A questo si aggiunga che per domani avevo mezzo organizzato di uscire con una amica che non vedo da tempo e già mi viene male all’idea di dovermi pettinare, vestire, di dover andare in centro, ecc.

Sul lavoro ho notato un minimo miglioramento. Continuo a pensare che l’ambiente sia tossico e mi perseguitano mille orgasmiche fantasie mentali in cui sfanculo il mio capo; alcuni colleghi continuano a sembrarmi falsi quanto una moneta da 3 euro, ma a volte sono riuscita a limitare i danni (ovvero a non comportarmi da psicotica e a calmarmi un po’) adottando un atteggiamento pseudo-buddhico del tipo: non nutrire rancore, ridimensiona le cose, calmati, sii la persona equilibrata che vorresti essere, etc.

Gli effetti di questo tipo di ‘pensiero’ mi sono parsi davvero portentosi, e dire che il mio proposito di meditare almeno un minuto al giorno è stato – come no – sfanculo.

Dei tre libri che ho comprato non ne ho letto neanche mezzo.

In aggiunta a questo, i gattini hanno problemi di salute, per i quali bisogna spendere tempo, denaro e preoccupazioni.

Detto ciò, mi attendono sei ore di lavoro (5 e mezza) prima di un week end lungo e la mia attitudine buddhica è andata a farsi benedire ieri sera, quando il mio portatile si è rotto, impedendomi di giocare con i Sims sino alle 2 di notte.

Besos, Deli

New beginnings

La spirale emotiva delle ferie si avvicina al termine. Non posso dire di averla gestita benissimo, visti i post amareggiati e trasudanti negatività.

Ci sono voluti vari antidoti: un pomeriggio a casa con mamma, sorella e nipotina giocando a hotel, un caffè con la Eli in un bar caldo e accogliente, mentre fuori si congelavano le strade e le punte dei nasi, una lunga chiacchierata con Ju parlando del passato, del presente, del futuro, di lavoro, sogni, benessere, meditazione.

Ci sono volute le pagine di un libro che prova a insegnarti ad ascoltare te stessa, a farti credere che sì, è possibile cambiare, non tutte le liste dei buoni propositi devono rimanere disattese. Basta imparare a compilarle davvero con ciò che vogliamo e di cui abbiamo bisogno.

Non è facile sapere quello che si vuole davvero. Proprio per questo, a volte, “not getting what you want is a wonderful stroke of luck”.

Besitos, Deli

Capodanno

Non sono stata capace di andare a casa della mia amica con altre persone che non conosco, anche se è stata carina a invitarmi.

Non esco con nessuno da un paio di giorni; ieri pomeriggio ho fatto mezz’ora d’auto per vedere E., ma quando sono arrivata lei aveva il cellulare scarico, così non ci siamo trovate, sebbene abbia provato a chiamarla cento volte.

Sono rimontata in macchina sentendomi triste, una sensazione che mi accompagna da tutta la vacanza, non mi smolla. È sempre la solita storia. Quando sono in Spagna mi lamento del lavoro, mi sento inadeguata, cerco di evitare le uscite e sento sempre di stare un passo indietro. Convivo con la sensazione costante che ci sia qualcosa che non va, in me. Però ho Pe, che rende meno tristi e patetiche le serate vedendo la TV, che mi ascolta, mi parla e sta con me così com’è e mi prende così come sono. Mai, nemmeno una volta mi ha fatto pensare di volermi diversa da come sono, esteticamente o in qualsiasi altro senso, ed io sono una insicura cronica, quindi non è poco.

Poi c’è Ali, per le chiacchierate al bar, le passeggiate, i caffè notturni, le serie TV che ormai sappiamo a memoria.

In Spagna c’è una vita che è tutt’altro che piena, con lunghi week end privi di impegni, mesi senza cenare fuori, senza andare al cinema.

In Italia, però, il vuoto è ancora più fagocitante. Nessuna amica che vive a 10 metri da casa, disposta ad uscire proprio nella frangia oraria in cui la mia sociopatia si mette a tacere per mezz’ora. Nessun lavoro. Nessun fidanzato con cui vedere un film o fare una passeggiata.

In Italia torno ad essere quella che ero a 15 anni: una ragazzina un po’ sfigata, senza amici, senza un fidanzato, bisognosa d’affetto, schiava del giudizio di mamma e papà, che mi vedono triste e sola e provano un mix di tristezza, delusione, forse persino vergogna. A chi piace avere un perdente in famiglia?

Ecco i miei sfavillanti pensieri in vacanza, nelle poche settimane all’anno che passo con i miei, e che io sento il dovere di passare al meglio, giacché sono una figlia degenere che se n’è andata all’estero abbandonando tutti.

Mi rileggo, e mi rendo conto di dire una marea di stronzate e di aver bisogno di qualcuno che mi aiuti a sciogliere questi nodi che instancabilmente intreccio nella mia testa, uno a uno, fino a liberarmene, ci volessero anche anni a farlo.

E infatti mica per niente ogni volta che torno in Italia mi riprometto di riprendere la terapia dallo psicologo.

Quante ferie dovrò amareggiarmi per decidermi a farlo davvero?

D’accettano scommesse.

Inadeguata

Poi mi rendo conto che a casa mia, o almeno in quella che ho chiamato casa per 26 anni, non ci sto bene. Mi sento inascoltata dalle uniche persone che mi vogliono e mi vorranno sempre bene, non fosse altro perché hanno il mio stesso corredo genetico.

Eppure ho la sensazione di non esistere, di non essere nulla più che figlia, sorella, cognata. Non sono Delilah, una persona fatta e (quasi) finita, con idee, una vita da adulta cazzo, da fottuta adulta, con dei sentimenti. Io sto lì, a uno e consumo degli altri, riempire la casellina, la sedia che rimane vuota quando sono lontana, anche se poi quando sono vicina e la sedia è occupata nessuno sembra essere interessato a me o alle mie parole.

Le mie “amiche” non hanno nulla da dirmi o da chiedermi ne voglia di vedermi.

Al lavoro mi sento sempre (o quasi) l’ultima ruota del carro, quella che non è simpatica, non si sa integrare. La maledetta goccia d’olio nella bottiglia d’acqua.

E allora mi chiedo: se non mi incastro mai da nessuna parte, non sarò forse io il pezzo difettoso del puzzle?

O forse, facendo un po’ di psicologia spicciola, ho un bel po’di traumi e paturnie legati alla mia relazione con la mia famiglia che condiziona tutte le mie relazioni interpersonali e che si esaspera quando torno qui, seppur per poco?

Questo ragionamento sembra filare liscio come l’olio, ma il mio cervello non è al 100% ora, e la psicologia spicciola diciamolo, non è che sia il massimo della tua vita.

Forse un bell’investimento da uno psicologo non sarebbe malaccio, dato che me lo riprometto ogni volta che torno a casa e puntualmente lo accantono al ritorno,per poi riprodurre questo delizioso circolo vizioso.

Distruzione et devastazione

All’una arrivano tutti a casa e parte il valzer delle mille portate: cinque antipasti, agnolotti, carne, torta, caffè e ammazzacaffe. Fortunatamente la bimba mi trascina nel suo mondo fatto di giochi e bambole, allontanandomi da quei frammenti di discorsi maschilisti, omofobici, islamofobici e, in ultima analisi, orgogliosamente ignoranti e qualunquisti.

Sbrilluccicano gli anelli, il servizio di piatti buono, le bottiglie di vino, ma la conservazione di brillante non ha proprio nulla.

Ascolto e abbasso lo sguardo, pensando che proprio non riesco, non sono capace di fare come mia sorella, che sorride a tutto e pensa solo al suo perfetto marito, alla sua bella casa, alla sua adorabile bambina, al nuovo anello.

Una bambina a volte la vorrei anche io, per tornare a usare i colori, a pettinare le bambole, a credere nella magia, ma poi penso a quello che viene dopo, alle disillusioni, alle brutture, e mi passa la voglia.

Le chiacchiere intanto continuano, e la conversazione sul mio lavoro, un lavoro della Madonna, che tutti quelli che hanno fatto i miei studi desideravano, ben pagato, intellettualmente stimolante, viene archiviata in 30 secondi. Più interessante il lavoro di mia sorella come commessa part time.

Un lavoro, per figo che sia, non vale un cazzo di niente se vivi in un appartamento con una sola stanza da letto e senza giardino.

Io in quell’appartamento piccolo, seduta sul divano vicino al mio Pe a parlare, mentre i miei gattini mi fanno le fusa, mi sento felice di una felicità vera, piena.

Ma a volte quando sono qua mi fa fatica ricordarlo, dato che nessuno sembra volerlo credere.

Alle otto meno venti finalmente il casino di dissipa, tutti se ne vanno via ed io rimango sola con i miei. Il lato destro della testa sembra essere trafitto da una lama, il naso è sempre più tappato e io non so se prendere una pastiglia, coricarmi o bere una tisana calda.

Alla fine prendo la pastiglia, bevo la tisana e mi metto a letto con la sveglia. Ho poco più di una ora di tempo prima di uscire con il mio migliore amico che vive all’estero anche lui e che non vedo mai, col quale pianifico questa uscita da mesi. Nel giro di venti minuti mi trovo in bagno abbracciata alla tazza con i conati di vomito, e la testa martella ancora più forte.

Manca davvero poco all’ora dell’appuntamento e inizio a tenere di non farcela a mettermi al volante e uscire. Alla fine gli scrivo dicendo che sto male, pensando che ormai non mi passa più in tempo, e che non posso tirargli un bidone proprio all’ultimo secondo.

Rimandiamo a una data diversa, con il rischio che salti tutto, dato che quando lui torna a casa ha mille persone da vedere e sta sempre pochi giorni.

È più furbo di me, che tornando due settimane ne trascorro sempre una murata in casa, dato che tutti rimandano l’uscita con me sapendo di avere tutto il tempo del mondo per vedermi. Poi passare capodanno qui senza avere una cippa da fare sarà proprio il massimo, affatto deprimente mi han detto.

Ma in tutto questo, sapete cosa mi fa incazzare ancora di più?

Sono le 22:17 e il mio malessere è sparito, evaporato nel nulla, così come il mio amico, che ormai sarà a casa.

E così rimango a letto, non ho visto l’unica persona che mi avrebbe fatto davvero bene vedere oggi, e i momenti in famiglia per i quali si suppone che torno a casa li ho passati detestando ogni sillaba di ciò che veniva detto.

No, non ci siamo proprio.

Natale

Il salone di mia sorella, sempre ordinato e decorato alla perfezione. La tavola è perfetta, le mille pietanze passano tra i commensali che parlano un po’ troppo ad alta voce, ridono, ripropongono frasi e battute già sentite uno, due, cinque anni fa.

Provo un leggero disagio per le orecchie ovattate per colpa del raffreddore, per quella gonna che pensavo fosse elegante ma è troppo corta. Al quarto antipasto inizia a stringere parecchio. Sto seduta sul bordo della sedia, cercando di coprirmi con il tessuto scarno della gonna, cercando di sorridere, di ignorare il casino.

Che poi a me il Natale ha sempre fatto cagare, come quasi tutti gli eventi mondani che prevedono di stare ore e ore inchiodata a un tavolo fingendo che ti interessi l’altrui opinione su macchine, antifurti, il governo gialloverde, la raggi, le pensioni, ecc.

Solo che poi sono andata a vivere all’estero, e di colpo quella giornata pallosa del Natale è diventata un simbolo, un amuleto contro tutti quei mesi lontana da casa. Almeno a Natale, si deve stare in famiglia. Lo dicono le pubblicità dei panettoni e dei pandori, lo dicono un po’ tutti, e alla fine la pressione sociale si sa, prevale sempre.

E così si torna, e come sempre è un po’un viaggio nel tempo, oltre che nello spazio, e io torno a essere una quindicenne che al pranzo si annoia, che non è accompagnata – perché il mio lui è in Spagna -, che non parla quasi e quando lo fa quasi nessuno l’ascolta. Il tutto però con l’aggiunta e il senso di colpa di una quasi trentenne che ha scelto una strada diversa, che è andata lontano, non ha una casa con 13 stanze, non cucina, non ha un anello al dito,non ha figli e, dicendo apertamente quello che i miei pensano – non sa vivere nel modo giusto.

E boh, mi ci mancano una manciata di brufoli e la crisi esistenziale direi che ce l’abbiamo tutta.