Le vacanze sono giunte a metà e sembra il momento adatto per un bilancio. Alla fine, nessun viaggio, siamo rimasti a casa. L’idea di stare in un qualche hotel a preoccuparci per la pulizia e la disinfezione delle lenzuola non ci entusiasmava e il mio possibile rientro in Italia é stato demolito da mio padre che crede che per farti salire in aereo ti obblighino prima a leccare un corrimano toccato da qualche malato di covid.

Poi vabbé, lui organizza viaggi in pulmino con la gente abituale del bar e si scattano foto senza la mascherina, ma a quanto pare “non c’é rischio, ormai in Italia non ci sono quasi casi, solo gente che viene da fuori”. Oook, non fa una piega.

Fortunatamente il mare é vicinissimo a casa, quindi io e P. siamo andati in spiaggia tutte le settimane, anche più di una volta al giorno. Siamo entrambi discretamente abbronzati e sono ormai alle ultime pagine di Cime Tempestose.

Oltre a questo sono uscita un paio di volte con Claire e spesso con Ali per i soliti caffé pomeridiani. Con P. sono stata bene quasi sempre, a eccezione di qualche litigio per il mio mal carattere o per la sua isteria (generalmente indotta da telefonate deliranti di sua madre a seguito di un qualche litigio con la sorella).

Abbiamo raggiunto un equilibrio perfetto in casa, io lavo i piatti e lui i pavimenti, io lavo e lui stende, ecc. La casa é un’oasi di pace. In queste settimane libere ho ripreso a disegnare dopo anni di inattività e ora le pareti sono piene di miei quadri incorniciati. Avevo dimenticato quanto fosse rilassante sedersi davanti a un foglio bianco e tracciare linee o creare sfumature per ore e ore, senza pensare a null’altro.

Per il resto, le cose da segnalare sono:

  • Ho sentito un paio di volte la mia nipotina per telefono e la adoro.
  • Ho sentito l’amico d’oltre manica e come sempre mi ha fatto sbellicare dalle risate. Lo adoro.
  • Le altre amiche storiche italiane sono semi-sparite dopo la fine del lock down. Proverò a farmi viva io.
  • L’amica del blog, dopo settimane di 5 audio al giorno di 9 minuti ciascuno é TOTALMENTE sparita dai radar.
  • Peso circa 60 kili (credo, non mi peso da mesi) eppure mi vedo e sento bene. I miracoli dell’abbronzatura! Persino i capelli lasciati incolti e non tinti da mesi mi stanno da dio con la pelle dorata. Sono destinata a sentirmi fica tre mesi all’anno, insomma.
  • Oggi spenderó 570€ per cambiare la Cinghia di distribuzione dell’auto+revisione. No comment.
  • Ancora non so se mi rinnoveranno il contratto di lavoro (scade a fine settembre).
  • Ancora non so in che condizioni rientrerò al lavoro a inizio settembre (si continua a lavorare da casa? 50 e 50? Torniamo in ufficio a penare con l’indegno orario spezzato? S’accettano scommesse!).

Ora vado a riordinare casa mentre P. é dal parrucchiere.

Besos, Deli

Buoni propositi in un periodo non convenzionale

È almeno la terza volta che mi ritrovo davanti a questa pagina bianca ed elimino tutte le parole digitate fino ad ora. Mancano solo 10 ore lavorative alle ferie.

In queste ferie strane nel bel mezzo di una pandemia io mi auguro di sorridere, di essere positiva e di tenere a bada il mio alter ego insoddisfatto, noioso e brontolone. Mi auguro lunghe giornate sotto l’ombrellone con i capelli bagnati, la pelle che pizzica e gli occhi immersi tra le pagine di un libro. Mi auguro lunghe chiacchierate – virtuali o meno – con le persone alle quali voglio bene per il semplice gusto di parlare e scherzare insieme, lasciando da parte almeno per un po’ il fagotto delle aspettative, dei rancori, delle invidie e delle insoddisfazioni che tutti ci portiamo dietro, chi più chi meno. Mi auguro di vivere momenti felici senza sentire la necessità di condividerli su Instagram o Facebook per apparire felice, perché apparire è ormai più importante che essere. Mi auguro di mantenere il più lontano possibile le polemiche sterili, i litigi immotivati, la bile e le frustrazioni altrui che la gente rigurgita nei succitati social network senza soluzione di continuità.

Besos, Deli

Oggi P. parte per l’ultima settimana di lavoro prima delle ferie.

Mi ha chiesto di farlo alzare alle nove del mattino, ma come era prevedibile è stato impossibile trascinarlo fuori dal letto e lo sento rigirarsi e sospirare tra le lenzuola. Io nel frattempo mi barcameno tra una schermata e l’altra, saltando da un lavoro palloso all’altro e giungendo alla conclusione di non aver voglia di fare un cazzo.

L’altro ieri ho passato una notte quasi insonne perché la mamma di P. aveva la febbre ed ha chiamato per farsi accompagnare in ospedale. Fortunatamente non ha il Covid, ha solo un’infezione che tuttavia, dato il suo quadro di salute molto compromesso, richiede un ricovero ospedaliero.

A quanto dice P., l’ospedale ha assunto un aspetto post-apocalittico. La sala d’attesa è stata chiusa, le vetrate sono coperte di plastica e ci sono controlli ovunque. Il personale si aggira per la struttura silenzioso, preoccupato, teso e ovunque si trovano cartelli affissi con le indicazioni per trattare i pazienti affetti da covid ed evitare che entrino in contatto con gli altri. A quanto pare ci si aspetta che il virus torni presto a contagiare a ritmi esponenziali.

Ieri il termometro segnava 40 gradi all’ombra all’ora di pranzo. In mattinata sono riuscita a lavorare ed ho anche stoicamente sopportato le temperature inumane della cucina per preparare della deliziosa pasta al baffo. Tuttavia, dopo essermi sbafata due piatti di suddetta pasta, il mio corpo ha deciso di chiudere i battenti ed entrare in modalità risparmio di energia.

In generale ieri è stata una giornata strana; non mi sentivo solo fiacca fisicamente, ma anche demotivata, giù di corda. Insomma, era uno di quei giorni in cui mi andava di starmene da sola, aspettare che la fiacca e la tristezza evaporassero e godere del silenzio della mia casa.

Solo che non ero sola, ero con P. e alla fine, a torto o a ragione, sono finita a discutere con lui. All’ennesima domanda che gli ho fatto e che non ha sentito perché era troppo impegnato a smanettare col telefono si è aperta la diga: tutti i santi giorni cucino io, finisco di lavorare e mi aspetto che tu mi dica “Ho pensato che oggi potremmo mangiare questo o quello” ma no, niente di niente. Allora vado in cucina, mi metto a cucinare e nel frattempo approfitto di quel momento per ascoltare un video o vedere un episodio su Netflix e lì, proprio in quel momento lì, tu inizi a intavolare grandi discorsi. Tu, l’uomo laconico per eccellenza, che ogni volta che gli dirigo la parola sta guardando il telefono o non mi sente perché indossa le cuffie per giocare alla Play, scegli quel preciso istante per dare inizio a infervorate discussioni sulla politica spagnola, che per quanto mi riguarda fa cagare a spruzzo né più né meno che la italiana e farei anche a meno di farmi venire la bile non solo per Salvini ma anche per il suo clone spagnolo. Dicevamo, cucino io, tutti i giorni della settimana, e ricevo uno sguardo distratto o un grazie di circostanza quando porto il piatto in tavola. Osservo la pasta fumante nel piatto e proprio in quel momento devi inviare un messaggio importantissimo, dare da mangiare ai cani o salvare un qualche partita sulla Play, sia mai che tutte quelle ore davanti allo schermo vadano perse. Ah, e i piatti chi li lava? Indovinato, io! Perché “a te piace lavare i piatti, io preferisco lavare i pavimenti!”. No tesoro, non è che mi piace lavare i piatti, mi piace trovare la tazza della colazione pulita al mattino, mi piace vivere in condizioni igieniche migliori di quelle di Nuova Delhi. Grazie al cazzo che ti piace di più lavare i pavimenti, lo fai a scadenze semestrali! E sì, lo so benissimo che se te lo chiedo, tu, alla fine, dopo innumerevoli insistenze, fai quello che di dico (lavare i piatti, cucinare, ecc.). Ma vedi, tesoro, se volessi stare tutti i giorni a dare ordini vivrei a Downton Abbey e avrei il fottuto maggiordomo, che oltretutto esegue gli ordini senza chiedere istruzioni ogni 3 secondi “Che ingretienti devo usare? Dov’è lo straccio per togliere la polvere? Tesoro, dove hai messo la candeggina?”.

Ecco, più o meno è andata così. Lui ha riconosciuto le sue colpe, anche se con attenuanti del tipo “è vero, questa settimana mi sono rilassato troppo e mi sono comportato come se fosse in vacanza”. Questa settimana, certo. Le altre invece stavi a spadellare tutto il giorno come Benedetta Parodi, vero? Vabbè, stendiamo non un velo bensì un piumone pietoso. Mi sono comunque scusata, non per i concetti espressi in se, ma perché avendo la mamma in ospedale forse non era il miglior momento per fare saltare la diga dei rancori.

Tuttavia, detto inter nos, ci sono momenti in cui mi chiedo un po’ cosa ci sto a fare in coppia in generale, e più concretamente con lui. Ci vogliamo tanto bene, lui mi ha appoggiata in tantissime cose e ci sono momenti in cui siamo davvero felici, in cui ci capiamo al primo sguardo e siamo sulla stessa lunghezza d’onda. Ma ce ne sono anche tantissimi in cui proprio non riesco a capirlo, in cui mi sembra immaturo, impulsivo e, soprattutto, disonesto. Non con me, per carità, mi fido di lui al 100%, ma con se stesso. Se la suona e se la canta per giustificare ogni cosa che non fa o che fa male, come un adolescente che ha sempre una scusa valida per non fare i compiti o per prendere un brutto voto, ed io giungo alla conclusione che a) odio gli adolescenti b) se mai dovessi diventare madre sarei una rompicoglioni.

Quando mi trovo a pensare queste cose mi chiedo sempre se non sia normale, a volte, esasperarsi con il proprio compagno, e se il segreto non stia proprio nell’aspettare che passi la tempesta, nel non gettare la spugna davanti a queste difficoltà. E al contempo mi chiedo se non si tratti di paura, paura di restare da sola, paura di chiudere un capitolo, l’ennesimo.

C’è chi divorzia alla prima discussione sulla tavoletta del cesso e chi sopporta per anni un matrimonio infelice finendo con l’amareggiarsi la vita. In questi momenti, mi chiedo sempre dove vada trovato il giusto equilibrio tra questi due estremi.

Nel dubbio mi preparo a godermi una settimana con la casa tutta per me.

Besos, Deli

Continuo invano a perdere le ore sul sito di Ryanair senza cavarne un ragno dal buco.

Ci sono un paio di voli a fine agosto che mi consentirebbero di rientrare in Italia per una settimana ad un prezzo abbastanza ragionevole (un centinaio di euro circa). Dispongo di un buono di Ryanair, peraltro, per un valore di circa 90 euro, che mi è stato inviato a seguito della cancellazione dei voli di Pasqua saltati a causa del Covid.

Problema: il suddetto buono sconto, emesso in sostituzione di un rimborso pecuniario richiesto e mai ricevuto, è a nome di P., giacché avremmo viaggiato insieme e mi ero occupata io dell’acquisto, e Ryanair non mi permette di utilizzarlo per il fantomatico volo estivo perché il passeggero ha un nome diverso da quello del titolare del buono (sebbene sia il nome del titolare della carta di credito).

La cosa mi fa girare le scatole a manetta, anche perché acquisterei il volo pur avendo seri dubbi circa il rientro (continuo a temere di contrarre qualsivoglia morbo lungo il tragitto e di contagiare i miei), e mi avrebbe in qualche modo tranquillizzata comprarlo con questi soldi che do ormai per “persi”. In questo modo mi sarei assicurata un volo a un prezzo decente qualora alla fine decidessi di rientrare, e se invece dovessi finalmente rinunciare a partire per paura di contagiare chiunque condivida il mio patrimonio genetico avrei comunque perso dei soldi che, gira che ti rigira, sono già persi da aprile, quindi poco male.

Insomma, dopo l’ennesima mail indignata a Ryanair che – già lo so – verrà prontamente ignorata e dopo aver valutato l’opzione di imbarcarmi con una pochette invece del solito trolley per risparmiare, non mi riesce proprio di continuare a concentrarmi sui testi ostici del lavoro.

Tralasciando gli scleri relativi ai voli fantasma e ai buoni sconto utili quanto la carta da cesso, va tutto abbastanza bene.

Questa settimana io e P. abbiamo apportato alcuni miglioramenti alla casa fissando alla parete una vetrinetta che giaceva a terra da quando i miei la spostarono per far posto al nuovo mobile della cucina (quasi un anno fa). Ciò ha consentito di rimuovere mille oggettini decorativi che giacevano sul mobile della tele che collezionavano polvere al ritmo con cui io, da bambina, collezionavo i regali delle uova Kinder.

Continua a fare caldissimo ma il nuovo ventilatore da soffitto acquistato l’altro giorno ha restituito un po’ di pace alle nostre nottate. 30 euro ben spesi, anche perché è incredibilmente silenzioso, a differenza del ventilatore tradizionale acquistato l’anno scorso dal cinese in un momento di prostrazione psicofisica e che faceva un rumore assordante.

Manca ormai una settimana alle ferie, e sebbene siano delle ferie atipiche, in cui non solo non so se tornerò in Italia ma non ho neanche organizzato nessun viaggio con P., non vedo comunque l’ora di poter prescindere dalla sveglia per un mese.

Per il resto, mi sorprendo a ricordare momenti, luoghi, sapori e persone di un passato lontano. Gruppi di amici di almeno 12 anni fa, le lezioni del liceo, le levatacce per andare in università e la brioche alla nutella del bar della stazione, il negozio di scarpe e i colleghi di quello che sembra un millenio fa. Questi ricordi mi passano davanti nei momenti più improbabili ed io li osservo sentendoli come qualcosa di familiare e al contempo molto lontano, senza eccessive nostalgie ma soprendendomi di come persone, luoghi e odori tanto lontani possano tornare alla mente in modo così nitido a distanza di tanti anni, senza motivi apparenti.

Dev’essere l’effetto dell’estate e dei suoi profumi. L’odore della crema solare mescolato a quello della salsedine, sempre uguale a se stesso anno dopo anno, stimola sempre ricordi di epoche remote, o almeno a me succede così.

Besos, Deli.

Situation

Penultimo lunedì di lavoro prima delle ferie di agosto.

Al suono della sveglia mi è venuto male, sia metaforicamente che in senso più letterale, dato che ieri sera alle undici stavo ancora cenando (e mica una roba soft, bensì un bel paninazzo con omelette, maionese e pomodoro).

Sebbene questo contravvenga ad ogni logica, il caffè solubile sembra avermi rimesso in sesto lo stomaco, e mi trovo piantata davanti al portatile da qualche oretta. In questo lasso di tempo ho visto una puntata di una telenovela brasiliana, ho cercato case in vendita nella mia zona a prezzi accessibili ed ho aperto circa 50 volte il sito di Ryanair, sperando sempre nella comparsa di un qualche volo al costo di 10 euro che mi permetta di decollare dal tetto del mio edificio e di atterrare direttamente nel giardino dei miei.

Questa scarsa produttività mi fa sentire parecchio in colpa, anche se non è qualcosa di totalmente inedito. Gli anni scorsi, quando non c’erano pandemie in corso e altre amenità, ricordo che nel mese di luglio la mia collega ed io facevamo uno sforzo disumano per concentrarci. Con la scusa dell’orario estivo, col quale si esce presto (ma non a sufficienza per mangiare prima delle 4), passavamo buona parte della mattinata in caffetteria, o sedute su qualche panchina a mangiare un panino con tonno, pomodoro e maionese.

Anyway.

Questo fine settimana non è stato affatto male. Il sabato sia io che P. eravamo in modalità zombie. Lui perché aveva fatto tutta la settimana il turno di notte, ed è tornato a casa direttamente una volta uscito dal lavoro senza prima dormire. Io invece lo ero perché continua a fare un caldo asfissiante, e ci sono certe notti in cui faccio davvero fatica a prendere sonno (urge l’acquisto di un ventilatore per il soffitto e silenzioso).

Ciononostante abbiamo pulito casa, io ho riordinato il suo armadio, ci siamo riposati e poi, sul tardi, sono uscita a prendere un caffè al bar con Ali. Ieri invece siamo andati al mare a passare il pomeriggio. L’acqua era limpida e fresca, c’era un bel sole e sono riuscita a portare avanti la lettura de “L’Isola di Arturo”. Mi piacerebbe leggere un po’ di più in settimana, ma alla fine vengo sempre sopraffatta dalla pigrizia e da Netflix. Tuttavia, non mi dispiace affatto poter associare sempre questo libro al suono delle onde e all’odore di salsedine.

Una volta rientrati dal mare siamo andati a trovare sua mamma. Come sempre siamo stati in terrazza, seduti ciascuno a due metri di distanza l’uno dall’altro e con la mascherina indosso. Verso le otto e mezza abbiamo deciso di tornare a casa perché P. iniziava ad essere affamato. Poiché il sabato eravamo stati troppo pigri per andare al supermercato, la mamma di P. ci ha lasciato del pane congelato e 4 uova per fare un bel panino con l’omelette.

Una volta arrivati a casa abbiamo scoperto di aver dimenticato l’aria condizionata accesa tutto il pomeriggio. I cani non hanno di certo sofferto il caldo, ieri , ma la casa era quasi completamente allagata, dato che lo scarico del condizionatore è dentro casa e la caraffa di plastica che usiamo per l’acqua di scarico era strabordata.

P. ha dunque portato giù i cani, e nel frattempo io ho rimosso l’acqua dal pavimento ed ho pulito il pavimento di tutta la casa col detersivo. Dopodiché ho messo il pane in forno a scongelarsi, ho messo in lavatrice gli asciugamani usati in spiaggia, ho pulito il bagno e infine mi sono fatta una doccia fresca. Finita la doccia, mentre si lavava P., ho preparato i due panini, il che spiega per quale motivo la cena è avvenuta in un orario così improbabile.

In questo momento mi trovo al tavolino del salotto affiancata dalla tazza vuota di caffè e pondero seriamente l’opzione di prepararmene un’altra. P. è apparso in salotto circa 20 minuti fa con un aspetto spettrale e dei pantaloncini molto rilevatori, e credo sia franato nuovamente a letto poco dopo. In teoria stamattina doveva fare di tutto e di più: gestioni burocratiche, acquisti, telefonate. Forse è il caso che lo obblighi a svegliarsi.

Il gatto sta mollemente addormentato ai piedi del letto, piccolo principino della casa, unico animale al quale è concesso di accedere alla camera da letto. I cani, nel frattempo, dormono sul divano. I piatti usati per cucinare la cena di ieri giacciono nel lavello. Il pavimento lavato ieri sera è coperto di briciole di croccantini. Questa cosa accade quotidianamente da quando P. ha acquistato dei croccantini in offerta che sembrano avere non solo le dimensioni ma anche la consistenza dei mattoni. Ogni volta che il cane ne addenta uno escono le scintille manco stesse masticando le pietre.

Come accennato prima, continuo a tormentarmi circa un mio possibile rientro in Italia ad agosto. Avevo ormai scartato l’idea vedendo che mio padre sembrava essere molto spaventato all’idea. Tuttavia, l’altro giorno ho parlato nuovamente con i miei e ora mio padre sembra remare in direzione opposta; non so se ci sia dietro lo zampino di mia mamma o meno ma, ad ogni modo, mi trovo nuovamente a dubitare sul da farsi.

I voli ormai li so a memoria. Solita tratta di sempre, prezzi relativamente accettabili (circa 100 euro tra andata e ritorno, non tantissimo tutto sommato) e quei lestofanti di Ryanair assicurano anche di consentire la modifica dei voli senza il pagamento di nessuna penale, data la situazione.

Risulta comunque difficile fidarsi, dato che il buono che mi hanno dato invece di rimborsarmi il volo cancellato a Pasqua non mi permettono di usarlo, e questo perché il nome del passeggero è quello di P. (occhei, stronzimaledetti, ma il fatto che il mio nome sia quello del titolare della carta di credito pagante alla quale – peraltro – vi negate di restituire i soldi, non mi da diritto ad usare il buono per viaggiare io?).

Insomma, per farla breve, passo ore a scegliere le opzioni di volo, ripetendomi che almeno il volo a quel punto è assicurato e non rischio di trovarmi a spendere 500 euro per un volo acquistato all’ultimo minuto. E alla peggio se finiamo di nuovo tutti in quarantena (e qui in Spagna l’opzione non è tanto remota) ci rimetto 100 euro. Gira il cazzo, ma in questi tempi di incertezza non vedo molte altre opzioni. Quando poi mi trovo davanti il tasto ‘acquista’, però, il mio cervello va in cortocircuito. Di colpo mi trovo a consultare Google Maps, oscillando tra l’ottimismo ingiustificato (“potrei tranquillamente fare un viaggio in auto di 15 ore, che sarà mai?”) e il pessimismo leopardiano (“Come minimo mi si guasta la macchina in un qualche villaggio francese sperduto nel nulla”), oppure finisco a ricercare hotel e auto a noleggio nella mia regione e, una volta tirate le somme, constato che una vacanza di 1 settimana in un luogo ridente quanto Agrate Brianza mi costerebbe quanto 3 settimane in un hotel 5 stelle in qualche magica isola dell’Oceano Indiano.

Alla fine, insomma, torno sempre al punto di partenza: indecisione e nulla di fatto. Presa dalla smania di trovare risposte ai miei dubbi esistenziali, ho chiesto appuntamento per domani col medico di famiglia per informarmi circa la possibilità di fare la prova del coronavirus prima di partire (quella che dovrebbe identificare possibili anticorpi). Mi pare di aver capito che è possibile farla con la ricetta del medico, seppure la si debba pagare (30 euro).

Dubito molto che tale test possa fugare del tutto i miei dubbi, salvo che mi dicano che sono immune al 100%, e non credo proprio che la prova in questione dia risultati così concludenti. Oltretutto, io ho avuto sintomi influenzali a inizio febbraio, ben prima che il virus (teoricamente) approdasse nella Penisola Iberica. Per carità, di sicuro circolava già da prima, ma a quanto ne so l’immunità dal virus una volta contratta la malattia non dura più che una manciata di mesi. Esiste la possibilità che abbia avuto il virus in un altro momento dell’anno senza presentare i sintomi, forse, ma anche in questo caso, ho sentito dire che gli asintomatici sviluppano meno anticorpi, giacché il corpo non reagisce violentemente al virus. Insomma, come vedete e come saprete, si sente e si dice di tutto e di più, e io francamente non ci capisco più una sega, per dirlo con eleganza e finezza.

Besos, Deli

Time flies

Questa prima metà del mese di luglio è letteralmente volata via senza che quasi me ne accorgessi.

Ci sono state delle cose belle questo mese, per esempio una bella cena fuori con P. e dei miei colleghi piena di chiacchiere e risate, sorseggiando una birra fresca.

Ma anche la visita della mia ex-collega francese a casa mia, che mi ha fatto mille complimenti per come ho decorato la casa e con cui ho passato un bellissimo pomeriggio.

E poi c’è stato un meraviglioso pomeriggio in spiaggia con P., pianificato all’ultimo ma con massima efficienza. La temperatura dell’acqua del mare perfetta, la pasta preparata prima di partire di casa e che era deliziosa, 100 volte meglio del solito trancio di pizza rinsecchito del bar all’angolo.

Luglio è stato anche il mese in cui si è deciso che questa estate non tornerò in Italia. Non è stata una decisione facile. A dire il vero, ero quasi pronta a comprare il biglietto dell’aereo. L’intenzione era quella di tornare sola, verso fine agosto, facendo molta attenzione in aereo, indossando la mascherina lungo tutto il tragitto e via dicendo.

Tuttavia, quando ne ho parlato con i miei genitori, ho ottenuto due reazioni molto diverse. Mia madre non aspettava altro che tornassi. Mio padre, invece, ha iniziato a evidenziare tutti i rischi del caso: il rischio di venire contagiati in aereo, il rischio di beccarselo in treno (lasciando a intendere che a prendermi in macchina non ci sarebbe venuto, ergo avrei dovuto attraversare l’intera Lombardia con Trenitalia, nota per la sua pulizia e puntualità), ed infine è passato ad elencare uno per uno i casi di covid del mio paese, non tanto i pochi deceduti (che senza nulla togliere, erano molto anziani e tutti di salute assai cagionevole già prima del virus), ma tutti quelli tra i 60-70 anni che, pur essendosi curati, si sono fatti la loro lunga permanenza in ospedale.

Devo essere sincera, almeno qui, dato che non ho parlato apertamente di questo quasi con nessuno: ci sono rimasta malissimo.

Razionalmente, so che i rischi sono grandi, e posso capire i timori di mio papà. Tuttavia, non potevo smettere di pensare ai miei amici e colleghi stranieri e sono tornati/torneranno presto a casa, attesi con trepidazioni ed accolti a braccia aperte, e mi sono sentite un’appestata.

Non ha aiutato il fatto che nel frattempo mia nipote, mia sorella e mio cognato vadano a casa dei miei con regolarità, sebbene sia mia sorella che mio cognato lavorino normalmente a contatto con diverse persone e si trovino attualmente in vacanza in un hotel. Così come il fatto che l’altro giorno i miei fossero a cena fuori con dei miei zii, e ieri fossero a pranzo dai suoceri di mia sorella.

Certo, non è la stessa cosa, io dovrei convivere con i miei, stare con loro h24, e dovrei entrare in un aereo Ryanair, dove sappiamo bene quanto vengano rispettate le distanze di sicurezza. Tuttavia, per l’ennesima volta in vita mia, mi sono sentita una merda.

Questa cosa ha radici lontane, in dinamiche familiari che vanno avanti da tantissimi anni: io sono la figlia deludente, quella di cui non ci si fida, quella che invece di fidanzarsi con un ragazzo del paesino è andata fino in Spagna, quella che non ha ancora comprato casa e vive in un appartamento con una sola stanza, quella che non sa cucinare, quella che vive una vita disordinata, con degli orari assurdi e con due cani e un gatto in casa.

Certo, sono anche la figlia che si è laureata col massimo dei voti, che ha ottenuto un buon lavoro, che ha avuto il coraggio di crearsi una nuova vita all’estero, ma queste cose vanno bene solo per vantarsi al bar con i soliti vecchietti che giocano a briscola.

Ed io ricorro sempre quell’approvazione che non avrò mai. Una vita intera cercando di dimostrare quello che sono e quanto valgo, cercando di essere esemplare e di meritarmi un po’ di rispetto, senza ottenerlo mai per più di 10 minuti.

Ed è stancante vivere sempre così, tanto stancante.

L’altroieri, per esempio, mentre andavo in spiaggia, ho telefonato ai miei. Avevo promesso che li avrei chiamati quel giorno, e di sera volevo uscire con una amica, così ho pensato di chiamarli lungo il tragitto. E mio padre, ovviamente, ha dovuto dire qualcosa con il preciso scopo di ferirmi.

Perché mi spiace tanto, ma dopo anni ed anni in cui mi ripeto che non lo fa apposta, che è fatto così, che ha avuto un’infanzia del cazzo, sono stufa di trovare attenuanti. Sia quale sia il motivo, mio padre mi dice delle cose solo ed unicamente con lo scopo di ferirmi e di farmi stare male. Lo fa sempre e l’ha sempre fatto, e non solo con me, ed io ne ho le palle piene.

Sabato non ha fatto eccezione, e mio padre ha dovuto dire l’ennesima crudeltà su P.

Mi sono immediatamente irrigidita, gli ho detto che mi dava fastidio, mia madre ha accampato qualche scusa per giustificarlo, cosa che fa da tutta la vita, e dopo qualche minuto abbiamo fatto tutti finta di niente.

Solo che a me quella cattiveria è rimasta nello stomaco, nella testa, ho continuato a circolarmi nel sangue ed oggi continua a rimanere lì, in un angolino del mio cervello, nell’angolino in cui seppellisco da anni tutte le critiche e gli insulti ricevuti da mio padre, prontamente accantonati perché se reagisci come vorresti (gridando e mandandolo a cagare) sei una figlia ingrata e crudele e se invece stai zitta, al massimo riceverai delle non-scuse che consistono nell’affermare che lui è fatto così, che ha un carattere di merda, che ci vogliamo fare, ecc.

Ed io non lo so se c’entra qualcosa con quell’ennesima frase crudele rivolta a me, a P., alla mia vita, o se semplicemente ho preso un’insolazione, ma ieri ho passato tutta la giornata tra il letto e il divano con un dolore alla testa martellante e vomitando bile abbracciata ad una bacinella.

E tra un messaggio e l’altro dei miei, preoccupatissimi all’idea che stessi male, avrei solo voluto chiedere loro di imparare a rispettarmi come persona, invece di insultare qualsiasi mia scelta e fottersene completamente dei miei sentimenti e poi trasalire se passo un giorno intero a sboccare l’anima.

Riemergo dai vapori del bagno turco

Sono sparita da qualche giorno, ma con questo calore (oggi abbiamo raggiunto i 40 gradi) risulta difficile fare qualsiasi cosa, e non mi andava troppo di delirare sul web.

La scorsa settimana è stata intensissima dal punto di vista lavorativo, ed è culminata con una trasferta di due ore (tra andata e ritorno) perché il datore di lavoro, pur avendoci chiesto di lavorare nel giorno libero, non ha ritenuto opportuno aprire l’ufficio, ergo la casa della mia collega è stata adibita a ufficio temporale.

Il lavoro è andato benino, comunque meglio di quello che potevo aspettarmi, contando che eravamo ambedue impreparate e che il tempo per prepararci è stato ridicolo (e per quanto mi riguarda è stato speso disperandomi e facendo ammattire P.)

Del resto il capo non ci ha detto nulla, neanche una parola, nemmeno per dirci di recuperare quel sabato perso. Anzi, mento, si è fatto vivo ieri per chiedere la consegna di un lavoro urgente (parola di cui tutti abusano nel mio ufficio fino a renderla priva di significato), ma ovviamente ha scritto alla mia collega. Interagisce con noi tre volte all’anno, ma non manca mai di sottolineare il fatto che lei gli è più simpatica.

La cosa mi infastidisce non poco, anche se ammetto che non mi farebbe per nulla piacere trovarmi i suoi messaggi molesti sul cellulare, quindi stica, meglio così.

Manca un mese esatto alle ferie, e tra un sospiro e l’altro, mentre cerco di sopravvivere alla calura, mi chiedo se tornare o meno dai miei in Italia a fine agosto. Lo vorrei tanto, ma continuo a temere di convertirmi in un untore. Inutile dire che siamo oberate di lavoro per quest’ultimo mese prima delle ferie, ed altrettanto inutile mi pare sia dirvi che non c’ho un cazzo voglia di fare niente, un po’ per l’afa, un po’ per pigrizia e un po’ perché il lavoro è ben pagato ma a livello umano è una latrina, a tal punto da emanare tanfo anche in modalità smartworking. Ma probabilmente sono io che prendo tutto troppo di petto, è decisamente un aspetto sul quale dovrei lavorare.

Che altro? L’ho già detto che fa caldo e che muovere qualsivoglia muscolo è uno sforzo inumano?

Oggi, dopo settimane in cui me lo ripromettevo, ho finalmente fatto il cambio di stagione (mi ostinavo a estrarre top e magliette estive da una scatola e a tenere appesi alle grucce i maglioni invernali) e a rimettere ordine in generale in quel porcile. Risultato: due borse di munnezza piene di capi di abbigliamento che non uso, sono rovinati, non mi piacciono, non mi entrano. E ne ho risparmiati parecchi ai quali probabilmente sarebbe dovuta toccare la stessa sorte, ma non sono abbastanza in forma per ‘scendere’ il cane in bikini.

Ieri, con i soldi per il regalo di compleanno inviatimi eoni fa dai miei ho acquistato dei bellissimi occhiali da sole di D&G, unica nota realmente frivola degli ultimi tempi. Tra la quarantena e il fatto che lavoro da casa, mi rendo conto di sentire molto meno la necessità di fare acquisti, anche se non escludo di rimpolpare un po’ l’armadio dopo la mattanza di oggi.

La domenica, per sfruttare un po’ il fine settimana dimezzato, me ne sono andata al mare e ho fatto la follia di comprare una sdraio con le rotelle dal cinese. Ho speso 30 euro, ma mi permette di trasportare comodamente lo zaino e l’ombrellone lungo la passeggiata in legno e di coricarmi e leggere in una posizione un po’ più comoda. Lunga chiacchierata con l’amico d’oltremanica domenica sera su Skype e lunedì emicranico ma produttivo (per forza di cose, la mia collega si è presa il giorno libero e l’ho “coperta”, venerdì tocca a me).

Per questa sera, invece, la massima ambizione consiste nello spalmarmi sul divano e smaltarmi le unghie mentre faccio una maschera all’argilla.

Besos, Deli

Tribolazioni

La mia lunghissima settimana lavorativa è giunta oggi, teoricamente, a metà. In realtà, oltre ad amareggiarmi e cacarmi sotto, ho lavorato solo martedì. I tre giorni davvero intensi di lavoro sono oggi, domani e – ciliegina sulla torta – sabato.

Sia lunedì che martedì il risveglio è stato un vero e proprio trauma. La riunione del lunedì, che teoricamente doveva risolvere i dubbi relativi al giorno successivo, li ha unicamente amplificati, per cui sono rientrata a casa in condizioni pietose, con un dolore lancinante alla testa e una voglia tremenda di vomitare.

Martedì le cose sono andate meglio, anche se c’erano circa 50 gradi e a metà giornata lavorativa, tra la temperatura e lo stress, puzzavo ed avevo l’aspetto di una che non si è fatta una doccia in mesi.

Ieri, invece, ero a casa. Mi sono alzata presto in mattinata per finire sul divano con gli occhi fissi sul telefono, circondata dallo sfacelo della casa. Verso le due circa, dopo aver messo un po’ in ordine, mi sono messa a leggere i materiali utili per il lavoro di oggi. Purtroppo è come leggere dei testi in sanscrito, ma devo ammettere che sul momento la cosa mi ha tranquillizzata. L’effetto placebo delle letture, però, non è durato a lungo, e verso le sette del pomeriggio stavo di nuovo sospirando ogni 3 secondi, mentre con sguardo vitreo mi guardavo attorno sconsolata.

P. mi ha convinta ad andare in terrazza, dove ho continuato a sospirare come un’anima in pena mentre inviavo qualche messaggio ad Ali. Questa settimana non l’ho vista neanche un giorno, ma proprio non ce la facevo. Quando sono così stressata a) divento insopportabile b) non sopporto gli altri e qualsiasi cosa dicano/non dicano mi fa incazzare, quindi ho optato come sempre per l’isolamento.

Nel tardo pomeriggio, poi, io e P. siamo andati al bar, inizialmente con l’idea di prendere un caffè, ma alla fine abbiamo fatto un piccolo aperitivo. In quel momento sono quasi riuscita a distrarmi, nonostante una leggera tensione di fondo.

Devo dire che P. ha davvero fatto l’impossibile per cercare di tranquillizzarmi, soprattutto negli ultimi 2-3 giorni. È un vero peccato che gli sia toccata la settimana di riposo proprio in questo momento. Praticamente ha trascorso tutta la settimana assecondandomi, ricevendo insulti immotivati e sopportando i miei sospiri e le mie crisi di pianto.

Se non è amore questo.

Sinceramente, non so neanche perché ho iniziato a scrivere questo post. Forse ero solo stufa di leggere testi incomprensibili, o forse volevo sforbiciare qualche minuto in più per poter iniziare finalmente a vestirmi ed uscire di casa.

L’attesa di una cosa che ci spaventa è decisamente una delle cose peggiori al mondo. Ore e ore perse immaginando tutto quello che potrebbe andare storto. A quel punto meglio uscire, affrontare la propria paura e fare del proprio meglio per uscirne indenni.

Besos, Deli

Gestione (fallimentare?) dell’ansia

Non pensavo di scrivere qui oggi. Come sa chi mi ha letto il mio ultimo post, mi aspetta una settimana lavorativa “intensa”, nel senso che dovrò svolgere un lavoro piuttosto complicato ed inaspettato e ad alto rischio di figura di merda.

Mi piacerebbe tanto condividere qualche dettaglio in più in merito, ma su questo tema sono piuttosto paranoica circa la privacy online.

Comunque, vi basti sapere che starò in ballo tutta la settimana, sabato incluso. La mia intenzione, quindi, era sparire da questi schermi e palesarmi nuovamente sabato pomeriggio, o magari domenica, a tempesta superata.

Tuttavia, sebbene stia già pregustando la quiete che sopraggiunge dopo questi momenti di crisi nera (un po’ come quella sensazione di fluttuare tra le nuvole dopo un esame superato, anche se non ricordo nessun esame che mi abbia cagionato tanto panico), credo che quello che viene prima si ben più importante.

Sì perché questa occasione, così come molte altre occasioni analoghe, mi fa riflettere sulla mia assoluta incapacità di controllare i miei stati d’animo, soprattutto quelli derivanti dall’ansia e la preoccupazione.

Per carità, non soffro di attacchi di panico in cui mi manca il fiato o simili. Diciamo che mi limito a diventare intrattabile, entro in un circolo vizioso per cui vorrei fare qualcosa per prepararmi meglio all’evento e studiare, ma poiché mi pare che qualsiasi sforzo sia, in ultima analisi, inutile, alla fine non faccio nulla, con tutto il senso di colpa che ne consegue. Mi isolo completamente da chi mi sta attorno, giacché la mia sensibilità raggiunge le stelle insieme all’intrattabilità. Mi cade un oggetto per terra ed inizio a scatenarmi con gli improperi e a sentirmi l’essere più miserando sulla faccia della terra.

Ma soprattutto, e questa è forse la cosa che mi fa arrabbiare maggiormente, la mia vita entra in stand-by. Quando mi attende al varco un qualche evento che mi spaventa io attendo mordendomi istericamente le pelliccine e le unghie, mi dispero, piango, dormo per non pensare e al risveglio impreco contro la sveglia, e difficilmente mi rimangono energie per fare altro.

Questo fine settimana non è stato un’eccezione, anche se ci ho provato davvero a vedere le cose da un’altra prospettiva. Ieri mi è riuscito molto male controllare il nervosismo, infatti la giornata (che pure era iniziata abbastanza bene) ha attraversato una crisi dopo pranzo, con una lite con P. e varie ore buttate vedendo un film senza seguire sul serio la trama. Una uscita nel pomeriggio ha risollevato un po’ le cose e la giornata è finita abbastanza bene.

Oggi, invece, sebbene l’ansia fosse sempre lì a farmi compagnia, siamo andati in spiaggia. È sicuramente stato meglio che rimanere in casa, ma devo ammettere che pur con il rumore delle onde e con il pizzicore del sole sulla pelle, la mia mente continuava a battere sul solito punto. Non ha di certo aiutato ricevere tre mail relative al lavoro lungo il viaggio di andata (motivo per il quale ora, con la sabbia ancora appiccicata addosso, mi ritrovo qui davanti al computer). Ero al mare, il clima era perfetto, ero in compagnia di P., ma io non potevo evitare di correre con la mente alla prossima domenica, idilliaco giorno in cui le incombenze lavorative saranno terminate (si spera non in una umiliazione) e potrò andare al mare permettendomi davvero, stavolta, il lusso di non pensare a nulla.

Voi come gestite situazioni di questo tipo? Avete consigli o vi siete trovati in situazioni analoghe?

Besos, Deli

Poi boh

Da un giorno all’altro ti trovi con un lavoro difficilissimo e per il quale sei impreparatissima da fare. Così, totalmente a caso.

E così la settimana prossima si rientra (temporalmente) al lavoro presenziale, ma si rientra mica normalmente (che già sarebbe stata una bella batosta), bensì con il botto!

Nulla di meglio che un bel lavoro da svolgere in pubblico, mettendoci la faccia, gestendo diecimila imprevisti ed usando uno strumento che, tra quelli che so utilizzare, è quello che maneggio meno bene.

Evvai!

Quindi niente, torno nei mio angolino a piangere e a smadonnare, e torno ad abusare della pazienza di P., messa a durissima prova in questi giorni dai miei continui scleri e pianti immotivati.

Se non ci si sente prima, spero di poter tonare qui verso la fine della prossima settimana per notificare che sono sopravvissuta.

Besos, Deli