Questa prima metà del mese di luglio è letteralmente volata via senza che quasi me ne accorgessi.
Ci sono state delle cose belle questo mese, per esempio una bella cena fuori con P. e dei miei colleghi piena di chiacchiere e risate, sorseggiando una birra fresca.
Ma anche la visita della mia ex-collega francese a casa mia, che mi ha fatto mille complimenti per come ho decorato la casa e con cui ho passato un bellissimo pomeriggio.
E poi c’è stato un meraviglioso pomeriggio in spiaggia con P., pianificato all’ultimo ma con massima efficienza. La temperatura dell’acqua del mare perfetta, la pasta preparata prima di partire di casa e che era deliziosa, 100 volte meglio del solito trancio di pizza rinsecchito del bar all’angolo.
Luglio è stato anche il mese in cui si è deciso che questa estate non tornerò in Italia. Non è stata una decisione facile. A dire il vero, ero quasi pronta a comprare il biglietto dell’aereo. L’intenzione era quella di tornare sola, verso fine agosto, facendo molta attenzione in aereo, indossando la mascherina lungo tutto il tragitto e via dicendo.
Tuttavia, quando ne ho parlato con i miei genitori, ho ottenuto due reazioni molto diverse. Mia madre non aspettava altro che tornassi. Mio padre, invece, ha iniziato a evidenziare tutti i rischi del caso: il rischio di venire contagiati in aereo, il rischio di beccarselo in treno (lasciando a intendere che a prendermi in macchina non ci sarebbe venuto, ergo avrei dovuto attraversare l’intera Lombardia con Trenitalia, nota per la sua pulizia e puntualità), ed infine è passato ad elencare uno per uno i casi di covid del mio paese, non tanto i pochi deceduti (che senza nulla togliere, erano molto anziani e tutti di salute assai cagionevole già prima del virus), ma tutti quelli tra i 60-70 anni che, pur essendosi curati, si sono fatti la loro lunga permanenza in ospedale.
Devo essere sincera, almeno qui, dato che non ho parlato apertamente di questo quasi con nessuno: ci sono rimasta malissimo.
Razionalmente, so che i rischi sono grandi, e posso capire i timori di mio papà. Tuttavia, non potevo smettere di pensare ai miei amici e colleghi stranieri e sono tornati/torneranno presto a casa, attesi con trepidazioni ed accolti a braccia aperte, e mi sono sentite un’appestata.
Non ha aiutato il fatto che nel frattempo mia nipote, mia sorella e mio cognato vadano a casa dei miei con regolarità, sebbene sia mia sorella che mio cognato lavorino normalmente a contatto con diverse persone e si trovino attualmente in vacanza in un hotel. Così come il fatto che l’altro giorno i miei fossero a cena fuori con dei miei zii, e ieri fossero a pranzo dai suoceri di mia sorella.
Certo, non è la stessa cosa, io dovrei convivere con i miei, stare con loro h24, e dovrei entrare in un aereo Ryanair, dove sappiamo bene quanto vengano rispettate le distanze di sicurezza. Tuttavia, per l’ennesima volta in vita mia, mi sono sentita una merda.
Questa cosa ha radici lontane, in dinamiche familiari che vanno avanti da tantissimi anni: io sono la figlia deludente, quella di cui non ci si fida, quella che invece di fidanzarsi con un ragazzo del paesino è andata fino in Spagna, quella che non ha ancora comprato casa e vive in un appartamento con una sola stanza, quella che non sa cucinare, quella che vive una vita disordinata, con degli orari assurdi e con due cani e un gatto in casa.
Certo, sono anche la figlia che si è laureata col massimo dei voti, che ha ottenuto un buon lavoro, che ha avuto il coraggio di crearsi una nuova vita all’estero, ma queste cose vanno bene solo per vantarsi al bar con i soliti vecchietti che giocano a briscola.
Ed io ricorro sempre quell’approvazione che non avrò mai. Una vita intera cercando di dimostrare quello che sono e quanto valgo, cercando di essere esemplare e di meritarmi un po’ di rispetto, senza ottenerlo mai per più di 10 minuti.
Ed è stancante vivere sempre così, tanto stancante.
L’altroieri, per esempio, mentre andavo in spiaggia, ho telefonato ai miei. Avevo promesso che li avrei chiamati quel giorno, e di sera volevo uscire con una amica, così ho pensato di chiamarli lungo il tragitto. E mio padre, ovviamente, ha dovuto dire qualcosa con il preciso scopo di ferirmi.
Perché mi spiace tanto, ma dopo anni ed anni in cui mi ripeto che non lo fa apposta, che è fatto così, che ha avuto un’infanzia del cazzo, sono stufa di trovare attenuanti. Sia quale sia il motivo, mio padre mi dice delle cose solo ed unicamente con lo scopo di ferirmi e di farmi stare male. Lo fa sempre e l’ha sempre fatto, e non solo con me, ed io ne ho le palle piene.
Sabato non ha fatto eccezione, e mio padre ha dovuto dire l’ennesima crudeltà su P.
Mi sono immediatamente irrigidita, gli ho detto che mi dava fastidio, mia madre ha accampato qualche scusa per giustificarlo, cosa che fa da tutta la vita, e dopo qualche minuto abbiamo fatto tutti finta di niente.
Solo che a me quella cattiveria è rimasta nello stomaco, nella testa, ho continuato a circolarmi nel sangue ed oggi continua a rimanere lì, in un angolino del mio cervello, nell’angolino in cui seppellisco da anni tutte le critiche e gli insulti ricevuti da mio padre, prontamente accantonati perché se reagisci come vorresti (gridando e mandandolo a cagare) sei una figlia ingrata e crudele e se invece stai zitta, al massimo riceverai delle non-scuse che consistono nell’affermare che lui è fatto così, che ha un carattere di merda, che ci vogliamo fare, ecc.
Ed io non lo so se c’entra qualcosa con quell’ennesima frase crudele rivolta a me, a P., alla mia vita, o se semplicemente ho preso un’insolazione, ma ieri ho passato tutta la giornata tra il letto e il divano con un dolore alla testa martellante e vomitando bile abbracciata ad una bacinella.
E tra un messaggio e l’altro dei miei, preoccupatissimi all’idea che stessi male, avrei solo voluto chiedere loro di imparare a rispettarmi come persona, invece di insultare qualsiasi mia scelta e fottersene completamente dei miei sentimenti e poi trasalire se passo un giorno intero a sboccare l’anima.