Sinceramente, non mi sembra vero. Quest’anno il piano per il giorno di Natale è quello di andare nella città in cui lavora P., sempre che permettano di viaggiare da una Comunidad Autónoma all’altra. Lui la sera di Natale lavora, ma potremmo organizzare un bel pranzo festivo, aprire i regali insieme e poi fare una videochiamata con i miei genitori, mia sorella, mia nipote e mio cognato.
Qualora invece non consentissero di spostarsi, dovrei cercare di dribblare un eventuale invito della madre di P., la quale probabilmente si sentirebbe obbligata ad invitarmi sapendomi a casa da sola, per poter trascorrere almeno una parte del Natale con Ali e Dani, che già hanno deciso che quel giorno non si riuniranno con la famiglia.
Come sempre accade da quando vivo all’estero, dovrò ricorrere ad Amazon per acquistare i regali. Gli anni scorsi lo facevo perché era impossibile stipare 6-7 regali in una valigia piena di maglioncini invernali; quest’anno, invece, sarò obbligata a farlo perché, beh, passerò il Natale in Spagna causa Covid.
Il Natale mi prende sempre un po’ alla sprovvista, un po’ come le prime giornate in cui improvvisamente alle sei del pomeriggio è già notte. Tutti gli anni mi ritrovo a vagare smarrita tra panettoni e polvorones al Mercadona chiedendomi che cavolo ne è stato di tutti quei fogli di calendario che separano la fine dell’estate dalle feste natalizie.
Solo che quest’anno lo straniamento è ancora più intenso, per due motivi, presumibilmente: da una parte, il mio inconscio prende a calci con più violenza del solito l’idea del Natale non solo per procrastinare la scelta e l’acquisto dei regali, come accadeva negli anni scorsi, ma principalmente per non pensare a questo Natale atipico che mi attende in cui, nella migliore/peggiore delle ipotesi, alle 6 del pomeriggio sarò piantata sul divano, in pigiama, con la panza gonfia ed intenta a giocare a Candy Crush Saga; d’altra parte, lo straniamento deriva dal fatto che, quest’anno, i fogli del calendario “persi” vanno da marzo a, beh, ad oggi.
Dico “persi” tra virgolette perché in realtà questi mesi di quarantene intermittenti hanno avuto una loro utilità e non sono passati invano, almeno per quanto mi riguarda: ho avuto più tempo per riflettere, per imparare a gestire meglio il mio tempo e a prendermi cura della mia alimentazione, ho avuto modo di godere di molte giornate di spiaggia, ho ripreso in mano fogli e matita per disegnare ritratti dopo secoli e millenni di inattività e, a livello lavorativo mi ritrovo, come risultato (si spera permanente) di questa pandemia, con un orario molto più umano e che mi permette di risparmiare tempo e denaro.
Insomma, come dicevo, questi mesi non sono tecnicamente “persi”. Tuttavia, l’impossibilità di viaggiare, l’assenza di vacanze, il lavoro da casa e la sovversione completa dei normali ritmi – talvolta frenetici – della mia/nostra vita fan sì che il 2020, escludendo gennaio e febbraio (che, di fatto, sembrano appartenere ad un’altra epoca geologica), sia un periodo di tempo informe, liquido, in cui estate, primavera, autunno e inverno si fondono e sovrappongono senza nessun senso logico. In un certo senso stiamo tutti aspettando che appaia una schermata, come spesso accade nei film, che faccia ripartire la trama principale dopo un periodo ritenuto troppo noioso per essere raccontato sullo schermo, ma al contempo necessario al fine di portare gli eventi alla propria maturazione.
“ONE YEAR LATER…”
E niente, stavo scrivendo questo post ieri ma ho dovuto interrompermi perché ero sommersa di lavoro e ora non ricordo di preciso dove volessi andare a parare.
Per qualche strano motivo, quando mi tocca lavorare da casa e potrei ritagliare un po’ di tempo per scrivere sul blog mi arrivano sempre 1000 mail e richieste mentre quando sono obbligata a rimanere in ufficio per 8 ore quando apro la mail si sente il rumore dei grilli e cerco invano di far passare il tempo leggendo articoli sul sito della Treccani.
Comunque, oggi fa freddo (almeno per gli standard nel sud della Spagna, per gente del cazzo come me abituata a passeggiare a in maniche corte fino alla scorsa settimana), P. parte tra poco per lavoro e, come sempre, somatizza la poca voglia di partire per cui s’è svegliato con nausea e malessere generale. Ho del lavoro da fare ma, salvo imprevisti, non è troppo né troppo poco. Domani si prevede una bomba d’acqua e grandine ed io continuo a dimenticare che oggi è solo giovedì e che domani tocca andare al lavoro.
Mi dibatto tra il desiderio di veder tornare il bel clima per fare una lunga camminata nel week-end e la volontà di trascorrere il sabato e la domenica seppellita sotto mille coperte sul divano mentre sorseggio un’infusione e leggo un libro, dando vita a tutti gli stereotipi Tumblr possibili ed immaginabili.
Besos, Deli